Note di regia di "Brotherhood"
La prima idea di realizzare questo film nacque quando scoprii la famiglia Delić in un reportage televisivo. La storia di tre fratelli, tre ragazzi inseriti in un contesto bucolico, quasi arcaico, pastorale, che devono fare i conti con un padre radicalista islamico. Quel servizio mi ha spinto a pormi delle domande: chi sarei diventato da adolescente se fossi cresciuto con un padre forte e autoritario come Ibrahim? Avrei seguito le sue orme o avrei scelto un’altra via? Che forma di mascolinità avrei assunto? Avrei deciso di ribellarmi al suo essere autoritario? Ma soprattutto, quale sarà il futuro di questi tre fratelli appena adolescenti? Queste domande mi portarono nel 2015 nel loro villaggio in Bosnia, quando Ibrahim aveva appena iniziato il processo che lo porterà poi alla condanna per terrorismo. Iniziai a instaurare un rapporto di progressiva fiducia e rispetto con i tre fratelli che è durato per tutti i quattro anni di riprese, dove abbiamo condiviso momenti cruciali della loro formazione. Brotherhood non è solamente un romanzo di formazione: è una favola contemporanea, una storia universale sul significato di essere fratelli. È un’indagine su cosa significa diventare uomini, con la capacità di accettare di deludere chi ci ha cresciuto, se questo significa poter diventare la persona che si vuole essere. Imparare a lasciar andare l’infanzia e l’adolescenza per diventare adulti, con tutte le sofferenze e i sacrifici che comporta. In questo contesto patriarcale, il ruolo del padre ha un significato molto forte per un adolescente che ha bisogno di una guida per crescere.
L’assenza del padre Ibrahim, per due anni in carcere, ha segnato profondamente l’evoluzione psicologica e umana dei tre fratelli, che hanno avuto l’opportunità di crescere liberi dalla sua ingombrante presenza. Una volta liberi, però, Jabir, Usama e Uzeir hanno scoperto con dolore la complessità della vita adulta, del dover fare scelte difficili e di doversi assumere le responsabilità gli uni degli altri. Crescendo nella campagna veneta negli anni 2000, ho sempre avuto un forte sentimento di frustrazione verso un ambiente in cui non mi riconoscevo, e mi sentivo prigioniero di un contesto che sentivo freddo e inadatto alla mia crescita umana e professionale. Lo stesso sentimento di impotenza, e di ansia esistenziale, mista a una forte determinazione, che ho trovato nei tre fratelli Jabir, Usama e Uzeir. Curiosi come tutti gli adolescenti, ho visto in loro una forte voglia di trovare la propria strada, capire che uomo essere, abbandonando un mondo arcaico che li ha influenzati fin da bambini. Brotherhood nasce dunque da un’esigenza personale di scoprire le radici della mascolinità e di un dialogo intergenerazionale difficile, in un paese bello e pieno di contraddizioni come la Bosnia. | segue 6 Citando il premio Nobel Ivo Andric: “si può affermare che ci sono pochi paesi che hanno una fede così forte, caratteri così sublimi, una così grande tenerezza e tanta passione, tanta profondità di sentimenti, tanta incrollabile fede, tanta sete di giustizia. Ma sotto tutto questo, nelle profondità dense, si celano una moltitudine di tifoni ancora non scatenati, ammassati, che maturano e attendono la loro ora” (Andrić Ivo, “Racconti di Sarajevo”). Con Brotherhood ho cercato questi tifoni ardenti sotto la cenere, soffiando su di essi, e cercando di mostrare il fuoco che ancora si nascondeva, sia nei tre ragazzi, sia nella Bosnia di oggi.
Francesco Montagner