I GIGANTI - Cinque amici, disperazione e il senso della vita
“Ci sono persone che dicono di fare una cosa e poi ne fanno un’altra. Sono tutti così. Anche io da bambino dicevo tante cose, ma poi non le ho fatte. Allora non ho più parlato.”
Una voce fuori campo su una landa desolata ci introduce al film "
I giganti".
I protagonisti di questo ultimo lavoro del regista sono cinque amici poco più che quarantenni che si ritrovano in una casa sperduta nel cuore della Sardegna con l’intento preciso e dichiarato di bere e drogarsi fino allo sfinimento, senza uno scopo preciso, presumibilmente per passare il tempo e dimenticare le loro solitudini. Si ritroveranno invece molto presto in una spirale di autodistruzione e delirio, a rimpiangere sogni che non hanno realizzato, vite che non hanno vissuto, amori che hanno solo immaginato e fallimenti dietro i quali si nascondono e si compiangono.
Non ci sono speranze in questo film. Non c’è niente di grande, di gigante. Ci sono solo piccole vite, che di gigante hanno solo la disperazione. Non ci sono neanche donne: non c’è posto per l’amore in questi uomini. Non ci sono ambizioni o progetti per un possibile futuro, solo vaneggiamenti esistenziali. L’unico piano che riesce ad elaborare Massimo, interpretato dallo stesso Angius, è quello di suicidarsi sotto un treno, davanti alla figlia, per punire la moglie che lo ha lasciato. L’unico modo che ha per farsi ricordare per sempre.
Non sono solo tristi questi uomini, fanno anche tenerezza, quasi pena, quando cercano un senso fuori da loro, in una cometa che si distruggerà contro il sole, e si ritroveranno sotto le stelle, finalmente fuori da quella casa, da quelle mura che rappresentano il male, la costrizione dell’esistenza.
Ma nonostante questo, nella loro incapacità totale di vivere, riescono a dare vita, come dichiara il regista stesso, “a un racconto che è un'opera filosofica scritta da un cialtrone, che nell'imbarazzo, nella vigliaccheria di un auto-sabotaggio, inconsapevolmente, è riuscito a parlare dei massimi sistemi senza che gli venisse richiesto”.
La tragedia che riempie ogni fotogramma, esasperata fino all’inverosimile dal regista, che la sottolinea con una fotografia cupa e musiche d’altri tempi, fa intuire, presagire o forse addirittura sperare in un epilogo ancora più tragico, che possa sollevare queste anime in pena dalle loro esistenze, perché è subito chiaro che non hanno nessun altro strumento per salvarsi (e salvarci) se non autodistruggersi.
17/10/2021, 22:00
Beatrice Tomassetti