Note di regia di "Akouchetame"
Latifa, nostra amica da tempo, ci ha portato ad Akouchetame per farci conoscere il suo mondo, i territori lontani dell’infanzia di suo padre, a cui guardava ancora con tenerezza. Lui, Abdellaziz, era molto malato, paralizzato da un ictus, e aveva già lasciato il villaggio da molti anni. Già allora ci era chiaro: quei posti sarebbero diventati parte di un nuovo film che stavamo iniziando a costruire e immaginare. Così, abbiamo cominciato a scrivere, andando avanti con le nostre ricerche. Abbiamo viaggiato, conosciuto Abdenour e Sofian, i nipoti di Latifa, e ci siamo legati a loro. Poi, un giorno di luglio, Abdellaziz è morto. In autunno siamo tornati ad Akouchetame con Latifa, per girare le prime immagini, ma tante cose erano già cambiate, a cominciare da lei stessa, più rassegnata: rispetto alle trasformazioni del villaggio, al destino dei suoi due nipoti e al loro desiderio di partire, di abbandonare per sempre queste terre. Lentamente, ci siamo avvicinati alla famiglia di Mustafa, lo zio di Latifa – che ha accettato a fatica la presenza della camera – e alla piccola comunità di questo villaggio sperduto tra le montagne, in cui eravamo probabilmente i primi occidentali a mettere piede. Abbiamo scoperto del sogno di Sofian di lasciare per sempre il villaggio; dell’ostinazione di Abdenour, che pur di terminare i suoi studi aveva promesso al padre di aiutarlo nei campi ogni fine settimana. C’era qualcosa che stava cambiando nella gioventù di questo luogo. La situazione si è complicata quando abbiamo ripreso il Souk all’alba. Eravamo al lavoro su un film ancora informe; senza una produzione, senza le autorizzazioni necessarie, e soprattutto senza aver capito fino in fondo il pericolo che correvamo. Tanto che, qualche giorno dopo, siamo stati rintracciati dalle autorità locali: ci hanno sequestrato i passaporti, e abbiamo dovuto lasciare Akouchetame per sempre. Rischiavamo di creare problemi, senza volerlo, alle stesse persone che ci avevano ospitato e con le quali iniziavamo a condividere tempo ed esperienza. Da quel momento in poi abbiamo dovuto ripensare il nostro progetto di documentario nella sua interezza, mantenendo Latifa al centro del racconto; e siamo ancora al lavoro. Il periodo della pandemia, però, ci ha spinto a rendere giustizia a questo primo incontro, dando vita a quelle immagini, e costruendo una voce narrante che restituisse in modo poetico ed empatico il nostro punto di vista: un intervento di finzione dichiarata; un incanto. Le immagini stesse hanno imposto il ritmo, immaginando la voce quasi come una traccia musicale e affidandoci all’esperienza e alla bravura di Joseph Rottner. La traiettoria del film è una favola, l’elaborazione di un lutto; l’impressione fugace di un mondo che sta per trasformarsi definitivamente.
Gaël de Fournas e Federico Francioni