Note di regia di "Tre donne, di Sylvia Plath"
È facile ritrovare in queste “Tre donne” alcune tematiche tipiche della condizione femminile: l’impossibilità, per una donna che accetti la maternità, di vivere bene e di gestire il momento del parto all’interno di un ospedale e nelle mani di una scienza medica per la maggior parte maschile, l’essere portata a interiorizzare i valori imposti dalla società, come il credere che l’essere sposa e madre siano gli unici ruoli possibili per una donna normale e l’impossibilità per una donna giovane e sola di tenersi un figlio. Ma la maternità e i temi ad essa legati sono in un certo senso pretesti per la Plath. Il figlio, desiderato, abortito o rifiutato è solo un momento scatenante di una condizione psicologica che è preesistente. Si parla di malignità del quotidiano, di angosce alle quali non si sa dare un motivo, di dolore e di solitudine, di paura di uscire dalla normalità e dall’accettazione degli altri. Il tema dell’adeguamento alla norma (vedi particolarmente la prima e seconda voce) ha caratterizzato fino allo sdoppiamento e alla schizofrenia la vita della Plath. È sconvolgente il contrasto tra le sue fotografie di bella ragazza americana sana e felice, di moglie e di madre modello e la sua poesia, ancora di più la sua biografia, di donna morta suicida a trent’anni. Intorno alle tre donne si avverte la presenza di un mondo fatto di uomini bidimensionali, ottusi e piatti che sono di volta in volta il marito, il datore di lavoro, i medici di ospedale, tutti coloro che riescono a condizionare l’esistenza delle tre donne e il loro rapporto con il proprio corpo e con la natura, recepita come negativa e maligna. Ancora una volta la donna viene letta da uno sguardo maschile, viene concepita come “moglie di”, “un corpo in funzione di”, “vista da”. Le tre donne non sono personaggi in senso cinematografico. Tutte e tre, però, sono riconducibili ad un'unica personalità, quella dell’autrice, che in questo come in tutti i suoi lavori, immette violentemente nelle storie che narra, la propria vita e il proprio essere. Credo che sia proprio questa partecipazione sofferta e autentica, a rendere chiarissima ed efficace questa poesia, a togliere ogni letterarietà a un linguaggio difficile ma formalmente perfetto e incisivo a tal punto che il suo interesse va oltre il semplice valore di testimonianza femminile, ma investe il campo della comunicazione e del riuscire a trovare le parole per esprimere cose rimaste per lo più mute nelle teste e nei cuori di molte donne. La strada formale che abbiamo scelto per filmare questo testo crediamo aumenti la sua capacità di comunicazione. L’identificazione fisica dei tre personaggi, la possibilità di filmare il loro corpo, i gesti, la visualizzazione del loro immaginario pensiamo possano aggiungere un surplus emotivo alla semplice lettura del testo. C’è poca azione, vero, ma in questa narrazione non è un problema. Si lavora sul pensiero, sulla parola, sull’immaginario. Gli spazi in cui ambientiamo le tre vicende sono spazi soprattutto mentali, della memoria. Come pure gli oggetti e i luoghi, non sono funzionali alla storia, ma simboli di ciò che hanno rappresentato per ciascuna delle tre donne narranti. La nostra è una sorta di indagine. Un’indagine priva di intervistatori e di speakers esterni. È la macchina da presa che raccoglie per noi le testimonianze di queste tre donne, seguendo le loro vicende, il loro sentire. Le situazioni e gli ambienti in cui collochiamo i tre personaggi sono apparentemente banali e di una rassicurante normalità. Questa è la vita di tutti i giorni. Anche il rapporto tra le tre donne, le loro case, gli oggetti, gli elementi della natura circostanti si manifestano all’inizio nel modo più ovvio. Quasi inavvertitamente la percezione di questi elementi quotidiani da parte delle tre protagoniste si dilata, diviene visionaria e ossessiva, con una distorsione che è visibile a livello d’immagine, ma che è fortissima nei suoi significati psicologici. L’uso del linguaggio scelto per rendere questo testo poetico va molto oltre il fornire una semplice immagine di accompagnamento alla parola poetica. Necessita d’un immaginario aperto, una forma a tratti sfumata, a tratti violenta, di colori che si alternano tra il definito e il tenue, di sguardi fermi ma anche timidi, per cercare di presentare il vissuto di queste tre donne il più possibile credibile agli occhi degli spettatori. Il nostro film mantiene inalterata l’omogeneità e la struttura del testo poetico, cercando di conservarne il climax e cercando di restituire con le immagini, quella forza che già la parola poetica restituisce alla perfezione.
Bruno Bigoni e Francesca Lolli