Note di regia di "Telling My Son's Land"
I ricordi, le riflessioni, le confessioni richieste e concesse dalla nostra protagonista sono finalizzate alla creazione di un’auto narrazione che, ricostruendo l’esperienza umana, professionale e politica di Nancy, consenta agli spettatori anche di addentrarsi negli aspetti più personali del fare giornalismo freelance in aree di conflitto, nonché nelle ripercussioni anche psicologiche dell’essere reporter di guerra, laddove ad essere una giornalista di guerra è una donna, che decide poi di diventare madre.
Sullo sfondo, la purtroppo ancora attualissima questione libica e la connessa, insanabile, piaga del traffico di migranti.
Dunque il primo elemento di composizione registica di tale materiale narrativo è dato da un continuo rimpallo tra Grande Storia e Microstoria personale, in un gioco di rimandi visivi (e visionari) con il materiale di archivio che sottolineino la fusione tra questi due piani cronologici. Fusione che per noi è stata determinante, visto che proprio il fatto che la vicenda privata e personale di Nancy sia autenticamente e fatalmente (nel senso etimologico del termine) intrecciata con la Grande Storia, ci ha spinto a sceglierla come protagonista di una storia da raccontare. Nella biografia di questa moderna figura femminile, infatti, non ci sarebbe il suo primo figlio, se in Libia non fosse scoppiata una rivoluzione e lei non avesse deciso di andare a raccontarla.
Secondo cortocircuito tematico ed emotivo, che ci ha spinto a fare questo tipo di film e orientato nelle riprese, è stato quello derivato dalla decisione del dare vita presa in un contesto in cui si dà la morte.
Guerra e maternità, carriera e famiglia: siamo partiti da queste antinomie (che per una donna diventano spesso bivi esistenziali), salvo poi arrivare a capire quanto anche gli estremi più distanti, come la vita e la morte, possano in realtà essere uniti. Nulla è a se stante. Così come nessuna vita dovrebbe sentirsi sganciata dal Tutto che continua a scorrere inesorabile.
Contrasti, barriere ideologiche, confini, pregiudizi, categorie: tutto ciò che separa e distingue, assolutizza una realtà che è sempre relativa e ostacola il flusso naturale della vita.
Ci siamo trovati dunque a ricomporre ed armonizzare anche questa ennesima e solo apparente dicotomia, in un percorso di consapevolezza che anche Nancy stava vivendo.
Una presa di coscienza che metaforicamente abbiamo voluto ambientare nel mirabile paesaggio offerto dalle Grotte della Murgia Materana a picco sulla Gravina: novello deserto, lontano dalla front line libica o mediorientale (per quanto simile nei colori e nell’atmosfera), in cui la protagonista, costretta ad un forzato ritiro, rivive le sue recenti memorie di guerra.
Tra rimandi cronologici e armonizzazioni di opposti, il film nelle riprese e nel montaggio tende continuamente a fondere live cinema (girato a Matera) e i filmati inediti del suo corposo archivio personale (girati da lei stessa o dai suoi collaboratori in Libia, ma anche in Siria, Iraq e Libano), alla luce del racconto di Nancy che via via si dipana, il tutto per far riflettere anche circa l’impossibilità, oggi più che mai, di concepire le nostre storie private separate da quanto succede nel mondo.
Ilaria Jovine e