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Note di regia di "Smalto"


Note di regia di
Quello che ho provato a raccontare è una storia veramente breve, poco annacquata e che possa andare dritta al punto nel cuore di chi ha voglia di guardare, ma soprattutto, di essere guardato. Come è possibile condensare gli ultimi momenti tra una madre e una figlia all’interno di un cortometraggio? Con che arroganza è possibile concentrare anni e anni di amore attraverso l’uso delle immagini?
Sicuramente non è possibile ma ci possiamo arrivare attraverso l’uso del tempo e dello spazio, anche solo per accennare a quei momenti sacri che si possono creare tra due persone e che spesso, appunto solo grazie al cinema, possiamo sfiorare.
E Smalto non fa eccezione in questo caso in quanto non fa altro che scandire lentamente un lasso di tempo estremamente breve, sia narrativamente che fisicamente parlando. Questa non è la storia di una madre e di una figlia, è la storia di un singolo momento della loro vita, quello finale prima di una separazione sia fisica che emotiva. È la storia dello zenit delle esperienze di entrambe dove la prima, Sonia, diventa adulta e la seconda, Arianna, diventa
finalmente padrona di sé stessa, diventa finalmente altro rispetto al ruolo che le è stato affibbiato, che sia il ruolo di donna o di madre.
L’occhio che fa da padrone in questa vicenda è quello della ragazza, che esplora una casa silenziosa, immobile, a tratti sinistra.
La geometria dell’ambientazione è un espediente per simulare una mente e una mentalità ormai priva di ogni forma, di colore e luce, ma anche per creare un contrasto cromatico con il termine Smalto, il rosso, e la liquidità del rosso stesso in ogni sua forma possibile.
Pensare un colore, più che vederlo. Crearlo nella propria mente tramite l’emozione che abbiniamo ad esso e il rosso, come è noto, è il colore dell’emotività universale: odio, amore, vita, morte.
Lo smalto che lega la madre e la figlia è una parte per il tutto, le unisce le allontana le ricongiunge, in altre parole è un simbolo di libertà e autodeterminazione, ma simboleggia anche la morte e lo strazio di essere costretti a prendere scelte estreme, giuste o
sbagliate che siano.
Smalto è un frammento di tempo, fermo immobile e gelido che vuole prendersi i suoi spazi, per disegnarli e imporli ma solo se, come detto poco prima, lo spettatore si lascerà guidare in una casa che sembra non essere mai stata vissuta, come il cuore di Arianna che solo attraverso i silenzi della figlia imparerà a conoscere il suo dolore. Ciò che ho voluto tentare, in conclusione, è universalizzare la figura di Sonia, quella di una ragazza che non è più bambina ma nemmeno donna, per farla diventare guida e fine di un viaggio che è tutto basato su uno sguardo che spia, scruta, osserva e si lascia osservare, che scorre come smalto e sangue attraverso un formato, quello del 4:3, troppo stretto per contenere i sentimenti delle persone eppure così adatto per incorniciarli e renderli eterni.

Michele Granata