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Note di regia di "Ratavoloira"


Note di regia di
“Ratavoloira” nel dialetto delle mie parti significa pipistrello. Erano anni che sognavo di dare vita ad un supereroe che incarnasse le sembianze del mio personaggio preferito dei fumetti calate nella personalità della mia città, Torino. Per questo il cortometraggio strizza l’occhio ai noti film di supereroi, ma ha connotati tipicamente italiani. Prende le distanze da Hollywood ironizzando, senza però scadere nella parodia: lo si potrebbe definire uno “Spaghetti Cinecomic”. Questo film vuole anche esplorare il tema dell’uso della lingua e del dialetto nella cultura di massa legata al mondo dei supereroi e dell’intrattenimento per ragazzi in genere. Nel 1998, un team di ricercatori della Tufts University ha evidenziato con uno studio quanto la stragrande maggioranza degli antagonisti nelle storie dei fumetti e dei cartoni animati abbia un accento straniero, in particolare germanico, slavo o inglese britannico, mentre gli scagnozzi parlano principalmente con dialetti e cadenze associate a classi con status socioeconomici bassi come italo-americani, latino-americani o dell’Est Europa. Spesso questi tratti linguistici portano con sé delle discriminazioni culturali con la classica contrapposizione del “come noi” al “diverso da noi” che vengono protratte con superficialità da anni perché “è convenzione, il pubblico riconosce il codice”. Da parte mia ho provato a mettere in luce questo tema con ironia sceneggiando dei manovali che parlano spagnolo d’Argentina, nonostante la mente del crimine sia quella di un italiano. Un’ulteriore nota ironica che conferisce colore di commedia al film è quella di far parlare l’eroe Ratavoloira in lingua locale, il dialetto torinese. La scelta tuttavia ha anche un significato più profondo: il dialetto come rifugio rispetto a un nuovo mondo che disorienta, perché ha cambiato le carte in tavola senza aver inventato per ora le regole di un nuovo gioco. Una lugubre Torino è minacciata da un artista megalomane che dopo anni di fallimenti ha vestito i panni del terrorista e da una donna di potere corrotta fino al midollo in una realizzazione che mescola commedia, thriller e azione. Il protagonista è uno studente di ingegneria del Politecnico, polo di eccellenza scientifica, che si mette a modo suo a servizio della città per proteggerla diventandone emblematicamente il simbolo: variazione ironica su un filo che va da Don Chisciotte ad un moderno “vigilante”. Sono tante le fonti per questo progetto, oltre naturalmente a Batman (in particolare Batman Returns del 1992 e Batman Begins del 2005): Lo chiamavano Jeeg Robot (2015) di Gabriele Mainetti e Kick-Ass (2010) di Matthew Vaughn. Ma anche il cinema Poliziottesco all'italiana, un genere cinematografico di ambiente poliziesco caratterizzato da numerose scene di azione brutale e violenza, atmosfere di strada, poliziotti solitari, intrepidi, tenaci e vendicativi con trame che a volte prendono spunto dalle storie poliziesche dell'epoca, sviluppandole in una chiave enfatica, demagogica o comica, come Torino violenta (1977) di Carlo Ausino; film di giallo all’italiana, filone nato in Italia negli anni ’60, che mescola atmosfere thriller e temi tipici del cinema horror come la presenza dell'ignoto in senso ostile (come forze, eventi, personaggi del male o di origine soprannaturale) nel mondo di tutti i giorni e che non preclude derive slasher, come ad esempio La ragazza che sapeva troppo (1963) di Mario Bava. E ancora Zombi (1978) di George A. Romero e il romanzo Le venti giornate di Torino (1977) di Giorgio De Maria.

Giulio Maria Cavallini