L’idea di "Pietre Sommerse" ha origine da un ricordo, un gioco di infanzia che chiamavamo “la camminata”. Si può riassumere in un’immagine: un bambino cammina sul fondo di un lago con una pietra tra le mani che lo tiene agganciato al fondo. Mi è parsa una potente metafora visiva per tutti coloro che vivono la vita cercando di andare avanti, tenersi a galla, nonostante il macigno che sono costretti a portare con sé.
La mente è corsa a tutti coloro che combattono quotidianamente con dipendenze e malattie mentali. In particolare ho pensato a persone che ho incontrato lungo il mio cammino affette da disturbo borderline di personalità, un disturbo molto più comune di quanto si pensi che ha spesso origine da un trauma vissuto in età preadolescenziale. Da qui l’idea di due fratelli, Elia e Carlo, le cui vite sono legate a doppio filo da un trauma infantile condiviso, rispettivamente vittima e testimone di un’ingiustizia che non si può cancellare.
Visivamente volevo riempire questo nuovo film di immagini iconiche e simboli. Pochi e ben delineati quadri costruiti con attenzione. Al contrario del mio primo lavoro volevo abbracciare l’ambientazione, far perdere i personaggi nel paesaggio, in questo caso un uggioso lago di Ledro, dove sono cresciuto.
Il lago qui si fa metafora della memoria. Un universo desertico, inamovibile, che sembra popolato dai soli Elia e Carlo. E’ il tempio dei ricordi, sia tristi che felici, come il giorno in cui restaurarono insieme una vecchia barca per esempio.
Nel corto viene messo in scena il giorno in cui i due fratelli affrontano finalmente quella memoria, sommersa per l’appunto, con la quale non avevano più avuto il coraggio di confrontarsi. Il finale del corto sembra dare una risposta a tutto, ma l’interpretazione può essere molteplice. Il film stesso si fa metafora, simbolo di quelle speranze che le persone con simili difficoltà nutrono per sè stessi o per i propri famigliari.