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Carlos David è uno psichiatra moralmente integro e irreprensibile che si rifiuta di testimoniare in tribunale a favore di un suo paziente accusato di strage. Il giovane ha infatti causato la morte di dieci persone. Il rifiuto a testimoniare viene però travisato e nel momento in cui il giovane paziente dichiara di appartenere alla comunità Lgbt, il sospetto di omofobia del medico diventa un verdetto aggravato dalla pubblicazione di un suo articolo scientifico che, per un errore di battitura, vede il titolo originale ‘L’omosessualità come adattamento’ stravolto in ‘L’omosessualità come aberrazione’. Nonostante l’ammissione dell’editore di un errore del titolista, ormai il mostro è in prima pagina e non è più il paziente ma Carlos David stesso. Il refuso diventa il detonatore di un ordigno che distruggerà la sua vita, facendogli perdere il lavoro, la rispettabilità, gli affetti familiari. Carlos David vede spostata su di sé la riprovazione del pubblico, sempre alla ricerca di un nuovo colpevole sul quale far ricadere la giustizia sommaria della collettività. Durante il processo, il sospetto pregiudizio verso la comunità gay viene peggiorato dall’accusa di aver vissuto un recente ed incondizionato avvicinamento alla religione ebraica. La forte spiritualità di Carlos David e il rinnovato sentimento religioso vengono ascritti fra le cause di una metamorfosi radicale che può aver condotto lo psichiatra verso un preconcetto espresso chiaramente nel Vecchio Testamento.
La gogna mediatica e l’accanimento del sistema giudiziario si sommano al dilemma morale nel professionista che si trincera dietro al giuramento di Ippocrate per difendersi dalle interrogazioni, dalle pressioni e dai tradimenti di tutti alla ricerca della verità.”
Ho amato la versione teatrale di questo testo tanto quanto amo la versione cinematografica che segue lo schema del thriller. La sceneggiatura scritta da un genio come David Mamet si ispira a un caso di cronaca, il caso Tarasoff. Protagonista della nostra storia è uno psicanalista a cui è stata distrutta la vita – come peraltro a molti professori universitari, docenti e manager – per l’accanimento di altri due protagonisti, che sono, nel film e nella vita, il sistema giudiziario invadente e la comunicazione pilotata.
Quando la vita privata di un uomo si scontra con il meccanismo di una comunicazione che non è divulgazione elaborativa di notizie, ma che invece è diffamazione, cioè provocazione visiva e intuitiva, decisa a dare giudizi piuttosto che ad informare, nasce un conflitto. E se al conflitto partecipa anche un sistema giudiziario che individua una vittima al di fuori delle vittime reali ed un colpevole in chi non è il vero colpevole, allora siamo in piena tragedia.
Ma perché succede questo? Mamet dice Perché la natura umana è crudele. Così, il nostro
protagonista Carlos David cerca risposte e conforto nella sua spiritualità e nel Giuramento di Ippocrate, unica arma di difesa dalla stampa e dalla magistratura.
I binari su cui viaggia la sceneggiatura sono la vita privata del protagonista fatta di verità, tradimenti e dilemmi, la clava mediatica secondo cui la stampa rinuncia all’originaria eticità perdendo il suo servizio elaborativo e infine il rapporto medico-paziente, ma anche avvocato-assistito, giudice-imputato, che rivela la dolorosa e discutibile incapacità ad aiutare.
Le informazioni abilmente manipolate permettono alla stampa di ‘vendere copie’. Siamo di fronte a un meccanismo paradosso che si nutre della stessa paura che scatena in chi è coinvolto e in chi assiste. Un richiamo forte, irrinunciabile, che tiene il pubblico legato a sé, riducendo la parabola a pochi elementi fondamentali, una vittima ed un mostro.
La vittima diventa il paziente criminale mentre il mostro è lo psichiatra, Carlos David, l’ebreo in cerca della verità, con tutta la forza divisiva dell’essere ebreo.
A questa semplificazione del pensiero, a tutte le variabili dei social media, alla riduzione a pochi caratteri per esprimere un concetto, alla moda del selfie, Carlos David si oppone. E qui Mamet introduce un altro macrotema di assoluta attualità perché senza la discrezionalità, senza la capacità di scegliere, ci sarà qualcuno che lo farà per te, che ti dirà cosa devi fare, e questo è il lasciapassare per le dittature.
Nella sceneggiatura non c’è giudizio. Ogni personaggio ha le sue ragioni. L’uomo subisce una forza di gravità spirituale che lo spinge verso il basso mentre lo scopo della vita è elevarsi. Carlos David ha una casa spirituale molto forte grazie alla quale non accetta ricatti; per questo si oppone ai giudizi della stampa e alle interferenze della giustizia.
Questo per me è un film totalmente ebraico. La domanda di Carlos David Mi processate per le mie convinzioni religiose? Non dovrebbe essere una questione fra me e Dio? esprime bene l’esigenza di difendere la pratica della elaborazione del pensiero. Difendo Carlos David, difendo la sua scelta, anche a discapito del rapporto interpersonale, molto doloroso. Difendo la sua ricerca di Dio e i suoi dubbi sulla parola di Dio. Il suo incontro con Dio sarà infatti rappresentato dall’interrogatorio del Pubblico Ministero, che si rivela essere un incontroscontro con la sua coscienza e che lo mette di fronte alle sue responsabilità.
Il P.M. dice a Carlos David che ha sempre testimoniato in difesa dei suoi pazienti tranne che in questa occasione. E questo perché ha dato un giudizio al suo paziente. Ed è sicuramente stato influenzato dalla lettura della parola di Dio perché esprime un chiaro pregiudizio nei confronti di uomini che giacciono con altri uomini. Così Carlos David si è rifiutato di testimoniare a causa della sua ‘conversione’ religiosa. Forse Carlos David ritiene che il suo paziente sia uno psicopatico e un assassino e che la strage non fosse evitabile.
Inoltre inciampa nel dubbio che la sua terapia non sia servita a molto. E infine riflette sulla possibilità che sia un disegno divino per un nuovo cammino di cui non è a conoscenza. In pratica è un film sul dubbio.
La frase chiave che lo aiuta a tenere il timone nella tempesta è Dio dice: sii onesto e io ti
perdonerò.
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HE PENITENT è anche un film sulla fine dei rapporti personali, quelli di amore e di amicizia. Carlos David sa che si lascerà con Kath, che la loro storia è finita, anche solo perché si cresce in maniera diversa. Quando Kath lo accusa di aver ucciso il loro amore lui risponde That’s my life. Carlos David non prende questo linciaggio come una sconfitta interiore, ma come un’opportunità di crescita. Paradossalmente l’accanimento della stampa e della giustizia risulta tragicomica: Ha ucciso dieci persone e loro processano me? Capisci che tutta questa storia è pazzia? Pura pazzia.
Aggiungerei infine un riferimento anche a Jordan Peterson, intellettuale canadese, psicologo di fama mondiale, accademico e autore. La sua popolarità ha toccato l’apice con le sue regole per una vita piena di significato che lo hanno reso divisivo al punto che il Collegio degli Psicologi dell’Ontario - organo professionale che regolamenta le licenze – ha chiesto che segua un programma di rieducazione. Ciò che non è piaciuto, infatti, sono le sue opinioni sulla libertà di espressione e l’identità di genere. Una critica aggressiva alla politically correctness. Peterson infatti si rifiuta di definire un gender che non esiste dal punto di vista medico. Al di fuori dell’uomo e della donna, dal punto di vista scientifico, non esiste altro. La sua scelta è kantiana perché fa riferimento alla genetica vera, ma l’attacco che ha ricevuto apre un mondo orribile in cui qualsiasi scienziato può essere incriminato e privato della sua possibilità di praticare o insegnare perché non si omologa al pensiero unico rischiando la sospensione della licenza.
Questo attacco alla libertà di pensiero è accaduto, negli ultimi anni, non solo in molte università americane ma anche in università europee, inglesi, francesi. La libertà di parola, che era il fondamento sia americano che europeo, la possibilità di esprimere le proprie opinioni ha trasformato la vita di scienziati, individui e insegnanti, protagonisti di qualsiasi campo in un rischio di gogna mediatica in cui l’unica cosa che rimane è la vergogna di aver detto qualcosa che non ha nessuna assoluzione, che non da nessuna possibilità – supposto che uno abbia sbagliato – di essere perdonato.
Luca Barbareschi