Note di regia di "Anulloje Ligjin"
Negli ultimi 15 anni ho frequentato spesso l’Albania, ci ho vissuto per mesi interi a causa dei diversi progetti realizzati su questo territorio. Così ho avuto la possibilità di instaurare tanti rapporti umani e di conoscere la sua Storia recente e non, oltre che di essere spettatore degli ultimi quindici anni dei suoi profondi cambiamenti. Proprio durante uno di questi progetti, ho conosciuto Luan Shkodra, perché all’epoca era il direttore di produzione di un cortometraggio ambientato in Albania che ho co-diretto.
Già durante quel lavoro pensavo in modo ricorrente a quanto la cosa più bella del mio essere lì fosse il rapporto con lui, che mi stava letteralmente insegnando a conoscere il Paese, grazie alla sua ottima conoscenza televisiva della lingua italiana e tramite la mediazione che veniva a crearsi fra il suo punto di vista e la nostra reciproca curiosità. Così quando è arrivata l’occasione di poter, a distanza di 7 anni, rifare un film sull’Albania ho subito capito che la presenza di Luan sarebbe stata fondamentale.
Era lui che ci portava in giro durante le riprese del primo film-corto ed erano le esperienze fuori dal set, i pranzi, le cene e gli spostamenti per le campagne e le montagne albanesi, le cose che ricordavo con più affetto e malinconia del progetto cinematografico precedente. Così ho pensato che visto che in questo nuovo film (questa volta un lungometraggio) avrei
voluto compiere un’indagine nell’Albania contemporanea ma incentrata sulle varie statue monumentali del Realismo Socialista albanese, e sul che fine avessero fatto oggi tutte queste statue, e sul cosa ne pensassero di tutto ciò gli scultori che le avevano realizzate. Ho pensato che sarebbe dovuto essere lui, Luan, ad accompagnarmi di nuovo in giro per l’Albania.
Data anche l’esperienza maturata negli anni con i mezzi informali per fare cinema, come gli smartphone e altre piccole videocamere a basso costo, ho iniziato a immaginare la nostra troupe, che era composta principalmente da tre persone. Più una vecchia Fiat Panda 4x4. La coproduttrice del Film, Graziana Di Santo, che oltre a essere la proprietaria dell’autovettura ha anche svolto il ruolo di operatrice video, ruolo che ho svolto anche io e qualche sporadica volta anche Luan.
Produttori esecutivi invece questa volta lo eravamo un po’ tutti, dato che ci autogestivamo e ci consigliavamo l’un l’altro continuamente.
La macchina stessa, la Panda con il suo contenuto umano è quindi diventata il meccanismo cinematografico di questo film. Non solo un’automobile ma un mezzo utile ad accumulare oltre che i chilometri anche informazioni, storie, esperienze e chiacchierate che sono finite
all’interno della narrazione cinematografica.
Per l’occasione avevo modificato delle vecchie cuffie auricolari con microfono così da trasformarle in un piccolo microfono anti vento, per registrare al meglio alcune delle nostre conversazioni in macchina e quelle delle persone che hanno lasciato il loro segno – con i loro racconti – in questa narrazione. Narrazione costruitasi in corso d’opera e per
accumulo appunto e grazie anche a un’altra serie di rapporti decennali con amici albanesi come Ilir Butka e Adrian Paci, i quali – a conoscenza di questo progetto – ci hanno consigliato quali fossero le persone e gli scultori dell’epoca più interessanti con cui andare a interagire e a dialogare di Realismo Socialista e dei monumenti di quell’epoca rimossi o
sopravvissuti.
Un’Armata Brancaleone più che una troupe cinematografica canonica, mossa dalla stima e dal piacere di stare insieme ma non per questo meno ambiziosa rispetto al risultato finale. Durante le riprese mi rendevo conto di come questo viaggio fosse diventato, anche per Luan che qui era nato e vissuto, un viaggio nella sua storia e in quella del suo Paese, e ho pensato che sarebbe stato bello riuscire a restituire questa mia sensazione allo spettatore.
Il film è stato girato quasi tutto in sequenza, basti pensare che perfino il lavaggio della Panda corrisponde al reale lavaggio della macchina fatto il giorno prima di riprendere il traghetto per rientrare in Italia, ed è quasi coinciso con la fine delle riprese.
Va precisato anche che precedentemente all’inizio di questo viaggio,
vi è stato un lungo periodo di ricerca sul materiale d’archivio relativo alle statue e ai monumenti del Realismo Socialista, un lavoro svolto prima della partenza per interposta tecnologia e durato svariati mesi e già iniziato perfino diversi anni ancora addietro, con tutti gli appunti presi durante gli altri progetti realizzati sempre in Albania. Una ricerca che non si è conclusa neppure con la fine delle riprese; difatti proprio grazie al lungo lasso di tempo passato nuovamente in Albania, quelle informazioni acquisite prima delle riprese e la visione dei materiali d’archivio gentilmente messi a disposizione dall’Archivio Albanese di Cinematografia, sono state rimesse in relazione al nuovo vissuto.
Stimolando così ancora nuove domande e nuove curiosità ma soprattutto la voglia di approfondire ancora meglio, rendendo necessario un nuovo periodo di ricerca negli archivi e sui filmati amatoriali albanesi, durato nuovamente diversi mesi.
I nuovi materiali selezionati sono quindi andati a stratificare ulteriormente e a calcificarsi sul lavoro già svolto e acquisito.
D’altronde un film che attraversa il periodo di transizione albanese e che dal mio punto di vista – come allegoria – può valere universalmente per qualsiasi periodo di transizione di qualsiasi luogo, persona o altro, non poteva che nutrirsi di stratificazioni.
E caos.
Fabriuzio Bellomo