TORINO FILM FESTIVAL 41 - "Non riattaccare"
Siamo decisamente una società che non sa comunicare; banalmente (perchè la riflessione non è certo una novità): il moltiplicarsi dei mezzi per mettersi in relazione ha peggiorato la qualità di quella relazione.
In questa società, se avete passato anni insieme, vi sono successe cose terribili e non sieti riusciti a dirvi quelle fondamentali, potete pensare di recuperare quel dialogo in una lunga telefonata ispirata dalla disperazione?
"
Non riattaccare" è insieme il tentativo di rispondere 'sì' (o 'nì') a questa domanda (che si porta dietro pensieri come 'non è mai detta l'ultima parola', 'non disperare', 'vale tentare'), di dare vita e movimento a un'azione che si svolge principalmente nell'abitacolo di una macchina (quindi una sfida autoriale) e, infine ma anche non infine, di far sostenere la responsabilità di riempire lo spazio e l'immaginario a un solo personaggio.
Partiamo dal fondo, perchè - diciamocelo - se si esce dalla visione con gli occhi di
Barbara Ronchi nel retropensiero non è perchè sono belli (anche) ma perchè per un'ora e mezza li hai visti dirti tante cose, quasi trapanarti. Il suo personaggio, Irene, coglie da una telefonata del suo ex - che avrebbe dovuto essere fugace - la sua intenzione di mettere fine alla propria vita, così decide di partire per raggiungerlo (in tutto il film, naturalmente, le decisioni - davvero tante - vengono pensate e messe in atto in uno stressantissimo nanosecondo) nel tentativo di tenerlo al telefono fino a quando non potrà materialmente metterlo in salvo. Durante questa interminabile telefonata, sul suo volto e nei suoi gesti si riverbera ogni parola, detta e non detta, e ti viene da pensare che sì, a volte, poco basta. Certo, sentiamo Pietro (Claudio Santamaria) dall'altro capo del telefono, ma Irene oltre a una voce è l'indaffaratissimo solitario corpo che conquista la scena.
Ma non siamo a teatro, quindi il mezzo cinematografico, soprattutto quel fantastico strumento che è il montaggio, si mette in moto e il regista,
Manfredi Lucibello, confeziona un vero gioco di equilibri e disequilibri tra i tantissimi piani stretti sugli occhi di Irene (quelli che ci trapanano ancora) e le altre inquadrature parziali/intere/sfuocate/sbilenche/davanti/dietro/fuori, insomma un montaggio che è vera azione. Con una fotografia giallo/nera che fa sembrare il tutto un po' noir.
Dobbiamo infine capire, come si diceva, se sia credibile (ma si può poi sindacare su ciò che agli altri può accadere? Ad esseri diversi da noi e quindi con i loro tempi, le loro sensibilità e reazioni?) recuperare un dialogo spezzato in un'ora di telefonata, per quanto sotto l'urgenza del tempo che sta scadendo. Ecco, credo che saranno le esperienze personali a far vivere questa storia come possibile/rocambolesca/esagerata/incredibile.
Una nota necessaria per la musica (spiace sempre non poterne parlare), ancor più visto il contributo all'atmosfera che riesce a dare Motta usando un'elettronica subacquea a creare la bolla nella quale Irene viene a trovarsi.
27/11/2023, 20:48
Sara Galignano