Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

BIF&ST 15 - Giorgio Diritti "Nella storia
di Lubo anche un pezzo della mia vita"


BIF&ST 15 - Giorgio Diritti
La lunga durata - quasi tre ore - non ha scoraggiato il pubblico del Bif&st che è accorso in buon numero, stamattina, ad assistere alla proiezione di "Lubo" di Giorgio Diritti, per poi ascoltare l'autore rispondere alle domande di Maurizio De Rienzo.

"Con questo film" – ha esordito il regista di "Il vento fa il suo giro" e "Volevo nascondermi" – "ho ribadito quanto sia importante per me raccontare la diversità, nella prospettiva di convivere anche nelle differenze, perché la diversità aiuta ad arricchire la società. E, insieme, ho espresso la mia attenzione alle giovani generazioni, al dovere di lottare per difendere il futuro dei figli e dei nipoti, a non arrendersi. Nella vicenda di "Lubo" c’è anche qualcosa di autobiografico, perché è vero che io sono di Bologna ma i miei genitori erano istriani e hanno subito, come altri miei parenti, la fuga forzata dal loro paese per motivi etnici. Ricordo, quindi, che la comunità degli jenisch, cui fa parte il protagonista, ha subito una persecuzione simile a quella degli ebrei, dei Rom e dei sinti negli anni del nazismo, persino in un paese ritenuto civile e neutrale come la Svizzera".

Quali le differenze del film dal romanzo "Il Seminatore" di Mario Cavatore da cui è tratto? “Dopo avere letto il romanzo, insieme al mio co-sceneggiatore Fredo Valla abbiamo cercato di capire cosa volevamo mettere in luce del racconto. Nel romanzo si raccontano tre generazioni che corrispondono a diversi personaggi ma noi abbiamo deciso di concentrarci sulla storia di Lubo, protagonista della prima parte del romanzo, per poi fare prendere al film tutt'altra direzione. Abbiamo messo al centro un uomo che subisce una ingiustizia e che, pur nel suo impulso di vendetta, insieme alla ricerca dei suoi figli cerca anche il senso della sua vita, un aspetto che non era molto presente nel romanzo. Sono passati quasi 10 anni dalla lettura del romanzo al momento delle riprese e questo si è rivelato un vantaggio in un lavoro così complesso, dava la possibilità di lasciare sedimentare alcune cose per poi riprenderle e migliorarle”.

Sulla scelta del protagonista Franz Rogowski: “Siamo partiti da una ricerca ad ampio spettro, sia in Italia e che all'estero. Sapevamo comunque che l'attore avrebbe dovuto parlare tre lingue, possedere agilità fisica e un certo fascino. Quando mi è stata sottoposta una foto di Rogowski mi sono ricordato di averlo già visto, tra gli altri in "La vita nascosta" di Terrence Malick, e aver notato quello sguardo molto forte ed incisivo che cercavo, nonché la capacità di essere credibile sia muovendosi nel mondo dell'aristocrazia elvetica del tempo che di quello degli artisti di strada. Mi ha sorpreso, inoltre, la sua gamma di espressioni che potevano mutare nel giro di un attimo”.

Anche in questo film c’è una grande attenzione agli ambienti, intesi sia come paesaggi che luoghi, perché l'ambiente talvolta esprime più di quanto non possano fare le parole, soprattutto sul lato emotivo. Bene i dialoghi, quindi, ma nel percorso che sto facendo con i miei film mi sforzo di suscitare emozioni a prescindere da loro”.

Maurizio De Rienzo ha osservato come la lunga durata dei film sia diventando sempre più una tendenza tra i grandi autori. "Nel nostro caso, devo dire che, in fase di sceneggiatura, stimavamo una durata minore poi, tra riprese e montaggio, siamo arrivati alla durata attuale. Ma io penso che sia un fatto positivo, perché in alcuni casi non si può mettere un contenuto sostanzioso in un piccolo recipiente. L'importante è che gli spettatori non si siano stufati...".

Sul suo prossimo progetto: "Sto galleggiando tra almeno tre idee diverse, anche pensando al periodo difficile che stiamo vivendo. Non è che io dico: ‘adesso faccio un film’, ma che voglio fare un film che, in quale modo, serva al mondo e alla società. E sto ancora cercando di capire qual è la strada giusta”.

18/03/2024, 15:30