Note di regia de "Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa"
Quando ho letto la sceneggiatura del film Il ragazzo dai pantaloni rosa ho amato da subito i suoi personaggi, raccontati con autenticità e senza retorica. Ho cercato di realizzare un film dal linguaggio totalmente libero dagli stereotipi, proprio come i suoi protagonisti, Andrea e Teresa. Madre e figlio, nel film come nella vita, sono mossi da un desiderio costante di libertà e di espressione di sé che non teme il giudizio della società, anche se questo giudizio arriva con violenza. La storia di Andrea Spezzacatena porta in sé la preziosa possibilità di cambiare le vite di tanti giovani. Per questo motivo ho cercato di lavorare con gli attori per creare personaggi tridimensionali, sfaccettati, che non fossero dogmaticamente divisi in “buoni e cattivi” nel tentativo di realizzare un film che possa parlare sia ai bulli sia alle vittime. Nonostante il tragico epilogo, la storia de Il ragazzo dai pantaloni rosa risuona nell’esperienza universale di tutti noi che, a prescindere dall’orientamento sessuale, dall’espressione di genere e dalla nostra identità, da adolescenti siamo stati alla disperata ricerca di noi stessi e del nostro posto nel mondo. Chi sono io? Chi sono in relazione agli altri? Sono come gli altri mi dipingono? Queste sono le domande che i giovani protagonisti si pongono, incasellati in una società che impone rigide norme sociali di genere. Ho voluto riflettere sulla maschilità, su come si diventa uomini e su quanto è difficile crescere liberi dagli stereotipi di genere. Christian infatti è totalmente schiacciato dalle aspettative sociali su come dovrebbe essere un ragazzo così incarna e replica la violenza che tradizionalmente si vede associata alla maschilità. Vorrei che si leggesse chiaramente la sua insicurezza che lo porta ad agire violentemente contro Andrea che invece è semplicemente sé stesso, al di là di come i bulli lo disegnano. Il tono il film è chiaramente drammatico, ma con una buona dose di ironia nella prima parte e pieno di vitalità, come il carattere del protagonista. La storia non ha la classica struttura divisa in tre atti, ma una più interessante parabola discendente che si sviluppa dalla nascita di Andrea e arriva fino alla sua drammatica scelta di togliersi la vita quando non vede alcuna via d’uscita alla sofferenza inflitta dai coetanei che lo fanno sentire sbagliato, inadatto, diverso. Nell’ultima parte del film infatti, quando il dramma non lascia scampo, ho scelto di distorcere il tempo e l’immagine ricorrendo allo slow motion e utilizzando l’ottica Jesse James per raccontare l’isolamento e lo scollamento del personaggio dalla realtà. La macchina da presa si muove elegante nella scena, passando da un personaggio all’altro, cercando di cogliere sempre le relazioni tra i personaggi e il punto di vista di Andrea. Mi sono tenuta sempre vicina ai personaggi, seguendone i loro movimenti in modo armonico pronta a cogliere le espressioni dei protagonisti, i loro silenzi e le loro emozioni.
Margherita Ferri