Note di regia di "L'Altra Faccia della Luna"
“L’altra faccia della luna” è il capitolo conclusivo di una trilogia di cortometraggi, di cui fanno parte anche “Dentro lo specchio” (2011) e “Dal profondo” (2014). La trilogia è incentrata sull’analisi del doppio, ossia di ciò che si nasconde dietro la maschera che ognuno di noi, volente o nolente, indossa nella vita di tutti i giorni: dietro a essa, talvolta, si possono nascondere mostri, che si annidano nella parte più recondita e profonda dell’animo umano. Ho cercato di esprimere questi concetti ricorrendo al registro noir (“Dentro lo specchio”), horror gotico (“Dal profondo”) ed horror (“L’altra faccia della luna”), ma servendomi del genere come metafora per veicolare significati e simbologie, tanto a livello di sceneggiatura che di regia.
Nel caso di “L’altra faccia della luna” ho preso spunto dal “Mito della caverna” di Platone, proprio per il concetto che ciò che vediamo differisce da ciò che è. Mi sono in parte rifatto anche alle atmosfere presenti nel film “Tutto è perduto” (2013) di J.C. Chandor con Robert Redford: quel senso di isolamento e solitudine di un individuo disperso nel nulla e costretto a confrontarsi con se stesso per far fronte alla situazione solo con le proprie forze mi ha infatti profondamente affascinato. Ecco quindi che è nata l’idea per questo cortometraggio: collocare un uomo solo, nudo, privo di tutto, confuso e disperso in un bosco selvaggio, che dovesse capire cosa gli fosse successo per scoprire quale terribile forza si annidasse dentro di lui e si fosse risvegliata. Il tutto trasfigurato, come si diceva, sotto forma di metafora, perché mi piace che il genere sia il mezzo e non il fine della narrazione.
Ho quindi optato per la totale assenza di parola e di contatto, per restituire la vicenda di un essere umano spaurito, disorientato, inquietato soprattutto da se stesso e dal vago ricordo della notte appena trascorsa. Un uomo di cui nulla sappiamo, se non i pochi indizi disseminati lungo il film e che, solo nel finale, permetteranno di ricomporre il puzzle. Cercavo un’atmosfera rarefatta e sospesa in una natura incontaminata, che allo stesso tempo fosse visivamente incantevole e inquietante, madre e matrigna. Anche l’accompagnamento musicale doveva suggerire meraviglia, mistero e inquietudine.
Nell’uso della macchina da presa ho alternato riprese su treppiede e macchina a spalla, sempre con in mente l’intento di dare l’impressione di un occhio che allo stesso tempo indaga, scruta e quasi spia il protagonista. I ritmi sono dilatati per accentuare il senso di isolamento e solitudine, quasi ogni cosa fosse sospesa in uno spazio ovattato. Anche per questa ragione ho voluto non sovraccaricare i suoni d’ambiente con i tipici suoni della natura che si trovano in location di questo tipo.
Per restituire l’atmosfera delle location ho scelto di girare con luce naturale, senza alcun tipo di faro, impostando le riprese secondo i ritmi del sole e delle condizioni meteorologiche. Un’impresa tutt’altro che facile per una troupe ridotta, date le location impervie, il fango, gli insetti che aggredivano noi e il protagonista. Riprese spesso interrotte a causa delle condizioni atmosferiche instabili, che ci costringevano a fermarci per permettermi di trovare la giusta coerenza nella luce o a causa di un improvviso acquazzone. È stata un’avventura bellissima, che mi ha fatto innamorare di quei luoghi, perché, come il protagonista, sia io che la troupe abbiamo dovuto far fronte alla situazione con pochi mezzi e con le nostre sole forze.
Luca Caserta