TRENTO FILM FESTIVAL 73 - "Mauro Corona. La Mia
Vita Finchè Capita": un ritratto di un uomo
"
State attenti sul montaggio perché sto dicendo un sacco di cagate".
Il film di
Niccolo' Maria Pagani su
Mauro Corona comincia nel suo studio, con un'intervista e un ravvicinato incontro con lo scrittore all'apice intimo della sua artigianalità: intento nel mostrarci i suoi testi nella forma originaria, la loro prima scrittura, il testuale scritto a mano. La narrazione orale e il pensiero metodologico e filosofico che sta attorno alla scrittura. La mia vita finché capita è un dialogo/monologo, sospeso tra reale ricordo e finzione rievocata, narrazione e poesia, sobrietà e ubriacatura. Tra folklore e fama, o insomma tra popolare e popolare, in mezzo alle montagne e alla solitudine ma anche affiancato dalla chitarra di
Piero Pelù o a quella del brillante
Davide Van De Sfroos, dalla compagnia di musicanti e scrittori, dall'arte, dal vino, dai gatti, dall'artigianato, dai fantasmi.
Scoprire la vita di
Mauro Corona, e soprattutto con lui il peso specifico e il minimo comun denominatore della sua creatività, con gli occhi di una troupe milanese, sembra un gesto turistico, un'immersione in un altro mondo, uno nascosto. La mia vita finché capita sta sempre nel presente e non ci mostra immagini del passato con nostalgia effettistica, e al massimo riflette sul passato con l'amarezza oscura che permea l'uomo - in totale rispetto e concordanza con la poetica dell'uomo, di cui il lavoro è un effettivo ritratto in movimento. Corona porta in vita i suoi testi e il suo pensiero, che più che unico è archetipico e universale, ma li riunisce con la Storia e con la tragedia a sé vicina, quella della diga del Vajont, e oltre, proiettandosi nel futuro del mondo attraverso il suo isolamento e la cultura che porta con sé dall'infanzia. La vecchiaia di una generazione, il vuoto della memoria, il flusso di pensiero provocatorio che nell'aria combatte coi mulini a vento dell'esistenza, con la fuga della poesia e quella dell'alcolismo che si intrecciano cinicamente in un unico calderone: il sogno e l'interesse del film stanno proprio nell'eterea forma dell'esistere, del parlato di
Mauro Corona, di queste divagazioni su tutto che diventano, con la sua innegabile grandezza, dettagli e pennellate del grande quadro che è il mondo.
Ci sono la depressione dell'adesso e la vitalità del sempre, in un vero e proprio dialogo sempre interessantissimo con una mente brillante e decadente, voce incredibile che vede e oltrepassa l'immaginario e l'interiore, l'alpinismo e il sesso, la paura e il desiderio. La parola diventa materia e sembra di conoscere Mauro, anche e soprattutto quando parla con
Erri De Luca degli incontri del passato e della scrittura a mano nella parte finale, o nel momento più umano e potente: una partita a morra con tre amici montanari, che sembra quasi provenire da un altro film.
03/05/2025, 07:43
Nicola Settis