Sinossi *: Deserto di Atacama, Cile del Nord. Il vuoto e il silenzio sono improvvisamente interrotti da una distesa di tende e di roulotte, di camper e antenne paraboliche, telecamere, carabinieri e giornalisti. È Campo Esperanza, il villaggio sorto attorno alla miniera di San José. Qui, da due mesi, trentatré uomini sono intrappolati a settecento metri sottoterra a causa di un crollo avvenuto durante il loro turno di lavoro. Il mondo intero segue la straordinaria vicenda: i volti dei trentatré minatori cileni sono ormai noti a tutti, con le loro barbe lunghe, i loro torsi nudi e smagriti, le scarne frasi di saluto e di speranza che le telecamere calate fin laggiù fanno rimbalzare in superficie. Quando iniziano le operazioni di recupero, tutto il Cile si raccoglie con trepidazione davanti agli schermi di piazza e ai televisori di casa. Mentre in città si festeggia con caroselli di automobili e clacson, un grido, prima attutito, poi sempre più alto, scandito e ritmato, si alza sino a sovrastare ogni altro suono. È una piccola folla, preceduta dallo striscione del sindacato della miniera. «No somos trenta y tres, no somos trenta y tres!» urlano questi uomini e queste donne. Non siamo solo trentatre, siamo più di trecento e non siamo invisibili. Nient'altro che questo è la storia dello spettacolare salvataggio dei trentatre minatori, scientificamente cavalcato dal governo cileno, che da vittime li ha trasformati in eroi e della loro metamorfosi in comparse dello show business. Ma è anche la storia dei loro trecento colleghi mortificati da un altro, più metaforico crollo: quello della dignità. Una storia sul lavoro: il lavoro che manca, il lavoro che uccide, il lavoro che unisce e che divide