Fondazione Fare Cinema
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locandina di "Storia di un Confine e di Tante Identità"

Cast


Soggetto:
Giampaolo Penco

Sceneggiatura:
Giampaolo Penco

Produttore:
Alessio Bozzer

Storia di un Confine e di Tante Identità


Regia: Giampaolo Penco
Anno di produzione: 2008
Durata: 66'
Tipologia: documentario
Genere: storico
Paese: Italia
Produzione: Videoest
Distributore: n.d.
Data di uscita:
Formato di proiezione: DV, colore
Titolo originale: Storia di un Confine e di Tante Identità

Sinossi: Non è il passato a produrre il presente. Esiste invece una volontà del presente a modellare il proprio passato.
Il Carso ha una storia cangiante, pronta a mutar d’abito a ogni epoca successiva, a seppellire e riesumare, senza un confine netto tra ciò che è stato, e ciò che è in essere, per cui i vivi sono quelli che si decide di vedere, e quelli di cui si decide di conservare la memoria, ma nessuno atto sarà definitivo. D’altra parte questo è un luogo di confini naturali e antropologici, un ponte tra il Mediterraneo e il mondo del Nord, tra i Balcani e l’Occidente, tra il mare e le montagne, e si fonda sulla presenza di gruppi etnici diversi, e nulla di questo è per sempre, probabilmente nemmeno il confine tra il mare e la montagna.
È significativa la testimonianza dello scrittore Boris Pahor, riguardo tutte le identità e relativi documenti, che ha avuto nella sua lunga vita iniziata nel 1913.
La nascita di un confine vero risale alla prima guerra mondiale, quando sul Carso goriziano e triestino vengono scavate trincee, combattute battaglie con migliaia di morti, e una zona, dove prima vivevano gruppi etnici differenti mescolati tra di loro, viene divisa da un confine territoriale nuovo di zecca.
Il confine diventa rigido durante il fascismo, e nel 1940 si trova nuovamente al centro di una guerra mondiale, durante la quale viene spostato più volte in maniera estremamente cruenta.
Finisce la guerra, e il confine si moltiplica: Italia, Zona A, Zona B, Jugoslavia, e la città di Gorizia divisa in due. Nel 1954 il confine diventa definitivo, almeno per la volontà di allora, e si trasforma in “cortina di ferro”, simbolo di una volontà politica di separazione, di non comunicazione.
Quando nuove vicende storiche tendono a riaprire il confine, ecco che si trova essere suo malgrado teatro di passaggi clandestini da parte di gruppi di disperati, che fuggono da miserie e guerre, e inseguono un sogno di crescita nei paesi occidentali, per raggiungere il quale sono disposti a pagare anche con la vita. E con queste immagini il nostro film finisce.
Andando indietro il film si sofferma sugli anni di inizio secolo quando lo scrittore triestino Scipio Slataper prendeva il tram di Opicina per salire da Trieste al Carso, mentre il decennio successivo il poeta sloveno Srecko Kosovel lo prendeva per scendere in città. Riprendiamo Elvio Guagnini (letteratura it Univ. TS) e Miran Kosuta (Lett. Slo. Univ. Roma) mentre parlano di questo sul tram di Opicina.
“Slataper era attratto dal mondo Carsico, lo vedeva come un mondo arcaico duro e puro, rifuggiva dalla modernità…Kosovel, pur facendo parte del mondo carsico, guardava verso la città, che per lui non ha nazionalità, è il luogo dove nascono le istanze…”
Si parla della lotta partigiana, che iniziò proprio da queste parti, della tragica vicenda di don Giovanni Battista Dorbolò, parroco a Sgonico, un piccolo paese carsico di lingua slovena. Il sacerdote venne assassinato a causa di questioni politiche mescolate a questioni private e successivamente gettato in una foiba per occultarne il cadavere. Il suo caso a tutt’oggi è raccontato in più versioni, come nel film Rashomon. La sua morte ben rappresenta quel sistema di rancori e rivalse, che si era creato tra le popolazioni di lingua italiana e quelle di lingua slava, che fino al secolo precedente avevano convissuto in pace. Negli anni 70 e 80 la cortina di ferro si allenta progressivamente, e il suo ritorno a zona di transito è testimoniato da chilometriche file d’automobili nei week-end e nei periodi estivi, e da un crescente traffico d’armi e droga. Ma sono soprattutto gli anni dei piccoli traffici. Le casalinghe triestine accompagnate dai mariti e dai figli andavano a rifornirsi di carne a Nova Gorica, Sempeter, Sesana, Corniale, ecc. Le macellerie ostentavano quarti di bue e l’immancabile ritratto del Maresciallo Tito. Al confine le loro auto incrociavano quelle targate YU, i cui occupanti erano imbottiti di abiti, i jeans arrotolati sotto le gonne. In ogni scomparto dell’auto borse gonfie di roba acquistata in negozi e bancarelle. In quel periodo alcuni comercianti triestini che si erano arricchiti in modo incredibile, grazie ai loro acquisti con i loro acquisti.
Ogni commercio perse la sua convenienza con il crollo del Muro di Berlino.
Nel maggio del 2004 una grande manifestazione nel Piazzale della Stazione Transalpina a Gorizia abbatte simbolicamente il muro che nell’immediato dopoguerra tristemente divise la città in due parti tra Italia e Jugoslavia. La linea di confine si avvia alla lenta dissoluzione, fino alla cerimonia dell’eliminazione delle sbarre, anche se da una parte non c’è più la Yugoslavia ma la Repubblica di Slovenia. Ma nel paese di Santa Croce ci sono ancora due chiese: in una si celebrano messe solo in sloveno, nell’altra solo in italiano.

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