Sinossi *:
Un racconto per immagini girato nel Centro di Permanenza Temporanea "Regina Pacis" è un percorso attraverso la speranza e i sogni e le rabbie e le paure dell'umanità migrante sbarcata sulle nostre coste. Con la mano tesa in cerca di un'opportunità. In cerca di un ruolo che possa dare loro quella dignità propria della persona umana.
E' una narrazione di volti....di sguardi, ora severi, ora timidi. Occhiate di sfuggita, occhiate di sottecchi.
Un racconto di parole, spesso non dette, mai pronunziate, forse neppure pensate. Parole che sarebbe bello anche solo riuscire a sognare, per chi dei sogni ha imparato a diffidare, a prenderne distanza.
E' soprattutto un racconto di storie intrecciate. Una dentro l'altra, una di seguito all'altra. Decine e decine e centinaia di storie che vanno a formare una sorta di convoglio ferroviario, quel Treno della Storia scritta con la carne e il sangue del migrante, la Storia che rinnova da principio un tempo che si credeva arrivato al suo termine, un tempo con nient'altro da dire che non fosse il quotidiano, il già visto, le certezze dissolte in un giorno qualunque impresso indelebilmente nella retina dell'occhio occidentale: come una fine, se non riusciamo a comprendere, e come un inizio, se ne abbiamo il coraggio.
Ed è infine un film di gesti....di passi...di mani e di braccia...di corpi dal colore diverso.
Un film di preghiere genuflesse e di orazioni laiche e di infiniti rosari sgranati sulle miglia percorse dal villaggio inchiodato nella foresta fino alla stiva della nave mercantile pagata con un debito ricaduto sull'intera famiglia, padre e madre e figli e nipoti, un biglietto d'ingresso nel sogno acquistato con il lavoro di generazioni.
Da questo si capisce che il Centro "Regina Pacis" non è visto soltanto come un luogo chiuso, delimitato da mura e cancellate, bensì come una piazza dove giungono e cominciano strade. Dove destini si intrecciano, armonizzano, generano futuro. Un luogo reale ma al tempo stesso immaginario...astratto...un "non-luogo".
Uno spazio mentale perimetrato da culture e linguaggi diversi capace di assumere la forma che gli si vuole dare. La configurazione che si è in grado di concepire. Metafora del mondo occidentale egoisticamente e vanamente chiuso dietro mura e leggi e sospetti, e costretto comunque a mischiarsi, (con)fondersi col migrante portatore di valori per noi sconosciuti.
Un embrione di universo all'interno del quale vivere assieme ai migranti, e al personale occupato integralmente all'assistenza, e ai carabinieri e ai medici e soprattutto al prete che lo dirige, Monsignor Cesare Lodeserto, ideatore del centro e di ogni sua attività. Prete e anche uomo. In collisione quotidiana con il mandato religioso e gli obblighi a cui lo riconduce la legge terrena. Diviso tra l'andare incontro al povero come voluto dai Vangeli e accompagnare al pullman diretto all'aeroporto il migrante espulso perchè non rientrato all'interno della sanatoria.
Attraverso la figura del prete, vogliamo raccontare il nostro rapporto con il senza terra, con gli umiliati e offesi saliti a pregare un'elemosina.
La sua sofferenza deve essere la nostra. Se riusciamo in questo, se condividiamo il peso gravato sulle spalle del prete, allora riusciremo a comprendere. A essere parte viva di un cammino che va disegnando i suoi giorni in un tempo scandito da innumerevoli morti, e innumerevoli nascite.

NOTIZIE 'Un'Incerta Grazia'



ULTIME NOTIZIE