Sinossi *:
Qhahir, Madguud e Uri sono tre prigionieri della guerra.
Hanno età, appartenenza religiosa e cultura differenti, parlano lingue diverse, vivono in paesi molto lontani tra loro, l’Afghanistan, la Palestina e la Somalia, ma hanno un comune destino.
Sono prigionieri della stessa condizione, che sotto ogni latitudine ti avvolge, ti invade, ti cattura, e non ti abbandona più. Sono vittime di un’ossessione eterna, che travalica le frontiere e il tempo, che contagia una generazione dopo l’altra.
Qahir, ventenne afgano, vive in un paese in perenne stato di guerra, ma non potrà mai fare il soldato. A otto anni perse entrambe le gambe in un campo minato nei pressi di Kabul.
Oggi fa il postino. Lavora con impegno, ma con molte difficoltà. Portare a destinazione una lettera per Qahir è una dura prova. Con il suo lavoro mal retribuito mantiene l’intera famiglia e fa studiare i fratelli più piccoli. Vorrebbe trovare una donna da amare, vorrebbe sposarsi, ma è emarginato dalle famiglie delle giovani coetanee perché ha le gambe di plastica.
La sua poetica voglia di vivere, nonostante la guerra, ogni giorno è contrastata da mille difficoltà.
Madguud, quarantenne somalo, fa il soldato di ventura da quasi vent’anni, ma, se potesse, venderebbe immediatamente il suo Kalashnikov al mercato della sua città. Prima della guerra faceva il contadino e sognava di diventare un attore.
Dopo che Baidoa, la sua città, venne più volte invasa, devastata dai clan rivali e ridotta a “città della morte”, Madguud si arruolò tra i feroci “moryan”, i miliziani del suo clan.
Nel frattempo, forse per esorcizzare la morte, si è sposato nove volte e ha divorziato da sette mogli. Anche per dimenticare la sua condizione Madguud non può vivere senza masticare in continuazione il Khat, una droga largamente diffusa in Somalia, che lo stordisce e gli fa sognare un’altra vita.
Dopo una vita d’avventure e di pericoli, Uri, ottantenne israeliano che vive in un kibbutz sul confine con il Libano, non è stanco della guerra. Se potesse, tornerebbe subito a combattere come in gioventù quando era colonnello dell’esercito del suo paese. Non ha mai visto un giorno della sua vita senza guerra.
Prima della costituzione dello stato d’Israele era membro dell’Haganah, un’organizzazione paramilitare indipendentista. Ha combattuto tutte le guerre in Palestina arrivando al grado di comandante di divisione.
La testimonianza che lascia ai giovani è la rabbiosa lezione di chi ha speso tutta la vita per raggiungere la sua meta consapevole e che morirà senza vedere il nemico annientato. Per Uri “pace” è una parola sconosciuta, la guerra è il senso stesso della sua vita.
Afghanistan, Palestina e Somalia sono da decenni teatro dei conflitti più lunghi della storia contemporanea.
Le popolazioni in questi paesi vivono sulla loro pelle uno stato di guerra perenne, vittime di una quotidianità priva di speranza.
I motivi dei conflitti scoppiati in questi paesi sono diversi. “Guerre”non vuole raccontare le ragioni della politica, le differenze tra una guerra civile o una tribale, tra un conflitto etnico o uno religioso.
Vuole raccontare la guerra in un’altra dimensione: nella sua mostruosità quotidiana. La guerra che giorno dopo giorno si insinua nella vita e nell’animo delle persone come un morbo, provocando una malattia devastante e senza cura.

Cast


Soggetto:
Giancarlo Bocchi

Sceneggiatura:
Giancarlo Bocchi

Montaggio:
Giancarlo Bocchi
Elisa Cantelli (Collaborazione)

Fotografia:
Giancarlo Bocchi

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