Sinossi *:
Dove sta andando la Lega Nord? Perché al suo interno cresce la componente fascista, mentre l’involuzione xenofoba e razzista diventa sempre più visibile? Per scoprirlo, nel nostro viaggio all’interno delle anime del movimento leghista, ci faremo accompagnare da una guida speciale: l’europarlamentare Mario Borghezio, protagonista, fin dall’inizio, dell’avventura che ha portato, lo scorso 17 novembre, all’approvazione in via definitiva al Senato della riforma costituzionale che sancisce la devolution, in altri termini la riorganizzazione dello Stato italiano su base federale.
Il racconto inizia con i festeggiamenti della Lega Nord per l’approvazione in Parlamento della devolution e continua seguendo Mario Borghezio, che dopo Bossi è il leader più popolare, il più applaudito ai comizi. Borghezio è un “politico di strada”, ha un solido rapporto con la base elettorale, alterna la sua attività di parlamentare europeo a un fitto calendario di appuntamenti sul territorio (ronde, fiaccolate, manifestazioni contro le moschee) in qualità di presidente dei Volontari Verdi, organizzazione che prosegue sulla linea inaugurata dalle Camicie Verdi, volute da Bossi nel 1996 quando lanciò la sua sfida allo Stato italiano con la dichiarazione d’indipendenza dei popoli della Padania.
Secondo Guido Papalia, procuratore capo di Verona, le Camicie Verdi erano un’organizzazione paramilitare. Da quest’accusa dovranno difendersi, il prossimo ottobre, una quarantina di leader della Lega, a cominciare da Bossi, Borghezio e Calderoli. Tra gli imputati anche il senatore Corinto Marchini, fondatore delle Camicie Verdi, che per la prima volta, a dieci anni di distanza, sostiene: “Bossi mi chiese di bruciare in pubblico la bandiera tricolore e di essere pronto a sparare sui carabinieri”. Racconta anche di un complotto interno alla Lega per uccidere Borghezio (senza rivelare per ora da chi sia stato ordito), con il duplice obbiettivo di eliminare un rivale politico e di creare un martire da spendere sulle piazze. Da allora Bossi è cambiato. La linea ufficiale della Lega, in attesa del referendum che a giugno potrebbe confermare la devolution, è moderata e federalista. Ma basta seguire le manifestazioni di piazza per notare che lo slogan più urlato è ancora SECESSIONE e il coro più entusiasta è quello che intona: “E noi che siamo padani / abbiamo un sogno nel cuore / bruciare il tricolore / bruciare il tricolore”.
Così come rimane violento e minaccioso il linguaggio di alcuni leader, primo tra tutti Borghezio, che però argomenta:
“La violenza della Lega è soltanto verbale”.
Scopriremo invece, nel corso del documentario, come la violenza delle parole si trasformi facilmente in violenza reale, incontrollata, pronta a ritorcersi contro colpevoli e innocenti, fino ad annunciare scenari apocalittici.

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