Sinossi *: Salito alla ribalta delle cronache nazionali alla fine degli anni Ottanta e ben presto tornato nel limbo delle storie “non notiziabili”, il caso ACNA di Cengio è una vicenda emblematica non solo dell’Italia del boom economico, bensì dell’intero processo di industrializzazione del Paese, che affonda le sue radici in una pratica di sviluppo finalizzata interamente al profitto e totalmente indifferente ai costi, umani e soprattutto ambientali, che questo comporta. Crogiolo di inalienabili interessi politico-industriali e anacronistiche istanze contadine, la storia decennale della fabbrica di Cengio (dinamitificio fino alla Prima Guerra Mondiale convertito poi in industria chimica per coloranti) è insieme presa di coscienza di una prospettiva ecologica in embrione e riaffermazione di un’indiscutibile identità di valle mutuata dalla tradizione. Il documentario si presenta come sorta di viaggio nella memoria e nella geografia dei luoghi e delle persone testimoni degli eventi della Valle Bormida, alla scoperta della realtà presente, ma soprattutto, di quella passata.
Note:
Acronimo di Aziende Colori Nazionali e Affini, l’ACNA nasce a Cengio (SV) nel 1892 come Dinamitificio Barbieri e avvia la produzione di polvere pirica, nitroglicerina e poi dinamite.
Situata in un’ansa del fiume Bormida di Millesimo, poche centinaia di metri a monte del confine con il Piemonte, la fabbrica sfrutta la difficile praticabilità del versante piemontese e la vicinanza al porto di Savona, dove approdano le materie prime. Altro fattore strategico è senz’altro rappresentato dalla disponibilità di acqua e manodopera a basso costo.
Rilevata nel 1908 dalla Società Italiana Prodotti Esplodenti (SIPE) continua a produrre tritolo fino al 1925, quando la SIPE viene a sua volta assorbita dall’Italgas nell’ambito di una strategia volta ad ottenere un’integrazione verticale tra la produzione del coke e quella di gas illuminante.
Nel 1929 viene costituita la società ACNA (Aziende Chimiche Nazionali Associate), poi comprata a pezzi da aziende straniere (IG Farbenindustrie, Basf) e dalla Montecatini (poi Montedison). Abbandonata definitivamente la produzione di esplosivi, nel secondo dopoguerra l’azienda si dedica quasi esclusivamente alla produzione di coloranti e pigmenti organici per uso industriale (tessile, cuoio e materie plastiche). Si tratta di lavorazioni particolarmente inquinanti, che impongono il divieto di utilizzo a qualsiasi titolo delle acque del Bormida a valle dell’ACNA per un tratto di oltre 100 chilometri (dove il fiume, raggiunta Alessandria, si getta nel Tanaro), anche perché l’azienda necessita e dispone di notevoli quantità di acqua per diluire i reflui di produzione, che nei momenti di piena vengono smaltiti con deliberati e non autorizzati sversamenti nel Bormida.
In pochi decenni la natura del e attorno al fiume soccombe, rimpiazzata da un cocktail di diverse decine di sostanze tossiche quali solventi clorurati, clorobenzene (altamente cancerogeno) e diossina, presente nel percolato che filtra nel sottosuolo e poi trasuda nel fiume dai lagoons (bacini di stoccaggio dei reflui), mentre le emissioni gassose in uscita dai suoi 152 camini impestano la valle con una fitta nebbia di anidride carbonica e fenolo.
Gli scarti di produzione, milioni di tonnellate di rifiuti tossici frammisti a terreno e ghiaie contaminate, vengono interrati a profondità variabili nell’area di naturale esondazione del Bormida e costituiscono il battuto su cui negli anni successivi verrà ampliato lo stabilimento. In una zona prevalentemente rurale l’incidenza annuale di tumori e neoplasie si fa intanto rilevante, raggiungendo cifre paragonabili a quelle di una area a forte concentrazione industriale.
Se gli anni Settanta vedono una forte espansione, anche occupazionale, dell’ACNA (nel 1979 l’azienda ha oltre quattromila dipendenti), nei primi anni Ottanta lo stabilimento entra in crisi, tanto che in soli quattro anni riduce gli occupati a sole 800 unità.
Incapace di rinnovarsi, incalzata dalla concorrenza straniera e da un vasto movimento di opposizione popolare animato dall’instancabile attività dall’Associazione per la rinascita della Valle Bormida, nel 1993 l’azienda passa all’ENI e viene messa in liquidazione. Per altri sei anni, l’ACNA langue tra cassa integrazione e ulteriori licenziamenti fino alla chiusura, decretata nel 1999, anno in cui viene avviato il progetto di bonifica del sito, la più grande mai tentata in Europa.