Sinossi *: Un'immensa opera d'arte, a forma di croce greca.
Un'architettura, progettata dal Bramante nel 1513, affrescata in ogni suo angolo.
Un santuario costato 200 anni di lavorazione, umiliato con intonaci grezzi che hanno ricoperto molti dei suoi affreschi, e ora in via di progressivo ritorno alla luce.
Un luogo che ha focalizzato l'interesse di Teodorico Moretti Costanzi (filosofo di quelle stesse terre), nei suoi studi sulla Crocifissione, e che il critico d'arte Vittorio Sgarbi sta da anni valorizzando, perché se ne continui il restauro.
In questo monumento del culto mariano - il Santuario di Mongiovino, in Umbria, a pochi chilometri dal Lago Trasimeno - è entrato lo sguardo di Elisabetta Sgarbi, a osservare finalmente da vicino i gandi affreschi di Johannes Wraghe (1567), Niccolò Circignani detto il Pomarancio (1569-70), Giovan Battista Lombardelli (1567), Arrigo Van den Broeck (1564) e Orazio di Paride Alfani (1552).
In un percorso sacro che va dalla Crocifissione alla Deposizione alla Resurrezione all'Assunzione, passando per la storia di grazia e umanità di Maria, Elisabetta Sgarbi coglie tutta la distanza che separa i due mondi di ogni sacra rappresentazione: il mondo trionfante di Dio, asceso, e quello confuso e sconfitto di un'umanità che non sa darsi ragioni, né di Dio né di se stessa.
Agli uomini, incapaci di capire di fronte ai misteri della fede, restano solo alcuni libri chiusi, che mai parleranno, e due impronte di chi è per sempre salito al cielo, lasciando a terra i suoi piedi come compromettenti ricordi di un percorso terreno ormai finito.
Al centro - in un'edicola che consegna al divino l'umanità della vergine - la Madre di Dio, icona di un dolore che accomuna ogni croce del mondo.