Sinossi *: Una bimba, figlia di un ricco collezionista milanese, frequenta occasionalmente lo studio di Morandi ed è incuriosita dalla polvere che regna sovrana sulla superficie dei suoi celebri vasi, verginale nella sua compattezza mai increspata dalle dita o dallo straccio di una domestica. E nel suo candore pragmatico di bambina la prima domanda che le salta in mente è .... “ma come farà il pittore a spostarli senza togliere la polvere con le dita?”
Da questo ricordo di Laura Mattioli, oggi celebre studiosa dell’arte morandiana, prende il via un breve viaggio tra i vasi di Morandi, tornati a casa loro in via Fondazza dopo tanti anni trascorsi altrove.
E dopo tanti anni sono ancora vestiti della stessa polvere. Nello studio di Morandi non è che il tempo si sia fermato: il tempo semplicemente non c’è. Come nei suoi quadri, il tempo non è una qualità dell’essere.
Così ci prendiamo il lusso di lasciar scivolare l’occhio tra i dettagli e l’insieme, tra gli stracci del cavalletto e i libri da comodino, tra le mensole ingombre di oggetti e la luce che dal cortile si affaccia discreta alla finestra, con indifferenza al tempo (anche quello filmico) perchè, nonostante tutto sia ovviamente cambiato, tutto resta comunque uguale, come ci suggerisce Eugenio Riccomini che ci invita a fermarci, a sederci sul letto del pittore e a guardare le cose come le guardava lui, ad annusare quell’aria priva della categoria di tempo e ancora impregnata di vita quotidiana, dei pensieri che si rimpallano una vecchia foto e una rondine in volo in alto sopra la casa gialla di fronte, che è sempre gialla anche se è tutt’altro.
Nessun intento biografico nè agiografico, nessuna pretesa di racconto. Solo vasi, polvere e poche parole di chi lo conosceva bene.
Forse un umile haiku.