Note di regia del film L'Orchestra di Piazza Vittorio
Quando a scuola mi ripetevano che tutte le strade portano a Roma ho sempre pensato che fosse soltanto un modo di dire, frutto di una leggenda o perlomeno anacronistico. Forse perché non sono nato a Roma, e prima di venirci ad abitare ho conosciuto tante metropoli dove il miscuglio di "razze" è realtà da parecchi decenni. O forse perché da buon meridionale vanto una miriade di parenti emigrati nel mondo e nessuno di loro però ha scelto Roma come sua destinazione, magari considerandola troppo meridionale, o meglio troppo poco settentrionale.
E invece dopo vari giri sono "emigrato" a Roma e subito mi sono lasciato attrarre da un quartiere pieno di immigrati, dove alcuni di quelli vecchi, quelli del meridione italiano che hanno deciso di trasferirsi nella Capitale, si sentono minacciati dalla concorrenza di quelli nuovi. Credo che il mondo funzioni così da molto tempo.
Così, mi sono ricreduto e ho scoperto quanto quel proverbio sia attuale. Perché oggi Roma, se non proprio una meta di destinazione privilegiata, di sicuro è un punto di passaggio per l'Europa del nord, dove chi parte si aspetta possibilità di accoglienza migliore. Ma questo non perché gli italiani siano razzisti, ma forse perché devono ancora abituarsi all'inversione di ruolo, al non essere più emigranti in cerca di un Paese ospitante, ma Paese pronto ad ospitare.
Forse per questo la storia che racconto nel film è una storia nuova e sorprendente, che dimostra come anche qui da noi può succedere che un immigrato possa alla fine realizzare il sogno di vivere grazie al proprio talento e non dovendosi arrangiare con quei lavori di fortuna solitamente snobbati dai padroni di casa.
E' andata così con i nostri musicisti e devo dire che l'incontro con ognuno di loro è stato l'incontro con un personaggio che da solo, con la sua storia, sarebbe potuto diventare il protagonista del film.
Ma se li conto tutti scopro che strada facendo ne abbiamo incrociati più di una trentina, forse troppi per un "solo" film... ma tanti quanti gli strumenti che via via hanno composto l'orchestra. E alla fine questo vuole essere il film: un'orchestrazione di tante singole storie che si sono incrociate, grazie alla musica.
E in tutto ciò confesso di non essere uno storico della musica, come molti registi che fanno film "musicali". Per questo è stato sin troppo facile cadere nella tentazione di cercare di raccontarli come persone prima ancora che come musicisti, intrufolandomi un po' nella loro quotidianità, sfiorarandola, cercando di evocare l'universo di memorie lontane che ognuno di loro si porta nel cuore, ma privilegiando soprattutto il loro presente, il loro tentativo di sentirsi cittadini italiani, anzi, romani, senza per questo dover nascondere le proprie origini, anzi, valorizzandole il più possibile, anche, appunto, grazie alla musica.
E alla fine rivedendo le immagini mi sono chiesto se non fosse più giusto, quando si racconta di esseri umani che lasciano la loro terra per cercare fortuna altrove, concentrarsi sulle storie drammatiche, fatte di dolorose separazioni, di sacrifici, di diritti negati, di razzismo. Quelle storie che troppo spesso finiscono male. In fondo, è quello che tutti si aspettano.
Ma io mi sono ritrovato testimone e partecipe di una storia di immigrazioni che invece, nonostante tutto... finisce bene, finisce molto bene. E forse - mi sono detto - in questi tempi può essere importante regalare una storia come quella dell'Orchestra di Piazza Vittorio: una storia a lieto fine. Però vera.
Agostino Ferrente