Note di regia del film "Chiamami Salomè"
Che sia un libro o un film a raccontare una storia, esistono idee senza tempo. Esistono personaggi, situazioni ed emozioni che per quanto riproposti, per quanto trasformati in canoni, non solo non perdono di intensità ma anzi si rafforzano ogni volta nell'immaginario collettivo. Proprio perché custodiscono al loro interno la capacità di rinnovarsi sempre, parallelamente al pubblico per il quale vengono di volta in volta rappresentati, e dunque la potenzialità di interpretare puntualmente lo spirito del proprio tempo.
Uno di questi personaggi è senza dubbio Salomè, il prototipo della seduzione adolescenziale, in qualche misura la "madre" di tutte le bad-girls destinate a sconvolgere l'equilibrio degli adulti ed a farli scivolare inesorabilmente verso l'autodistruzione. Sarebbero immaginabili, per esempio, Lolita o la ragazzina di "American Beauty" senza Salomè? Nell'interpretazione decadente di Wilde, il "capriccio" di questa teenager storica, nel semplice spazio di un atto teatrale, perde addirittura tre uomini: il giovane siriaco, suicida per amore, il profeta Battista che ha osato rifiutarla ed Erode Antipa che ha messo in gioco per lei le regole stesse del potere. Un personaggio così forte e ancora così incredibilmente vivo si presta dunque quasi naturalmente ad essere rivissuto oggi, in un allestimento che, senza tradire non solo lo spirito ma anche lo stesso testo originale ci permetta di calarlo nella società dei nostri giorni.
Del resto, non solo il pubblico teatrale ma anche quello cinematografico, composto per lo più di giovani, è ormai abituato a rivivere alcuni testi classici come copioni scritti da qualche sceneggiatore contemporaneo. Basti pensare non solo alle versioni shakespeariane di Kenneth Branagh ma anche al "Romeo + Giulietta" di Baz Luhrmann con Di Caprio o al recente "Hamlet 2000" ambientato a New York tra video, telecamere e computer.
Queste operazioni presuppongono, ovviamente, un attento lavoro sul testo che preveda tagli, leggere modifiche, piccoli adeguamenti alla nostra realtà, ma muovono comunque dalla consapevolezza che i classici possiedono al loro interno la capacità di riaccendersi ogni volta anche in altri contesti. Il loro miracolo sta, infatti, proprio nel saper rendere accettabile e naturale per i nuovi pubblici quanto inizialmente potrebbe sembrare non più proponibile. Superata l'iniziale barriera di straniamento che prende sempre gli spettatori nei primi minuti di rappresentazione o di proiezione, scatta poi il godimento di sentire come le parole apparentemente "antiche" della grande letteratura, a volte conservino invece la capacità di interpretare in pieno le nostre sensibilità.
Dice Salomè del Profeta, di cui ha appena ottenuto la testa: "... Tutti gli uomini mi nauseano. Ma tu eri bello. Il tuo corpo era una colonna d'avorio su un piedistallo d'argento... Era una torre d'argento ornata di scudi d'avorio. Non c'era nulla al mondo bianco come il tuo corpo. Non c'era nulla al mondo nero come i tuoi capelli. Nel mondo intero nulla era rosso come la tua bocca..."
Non potrebbe essere il delirio di una delle tante ragazzine fan di qualche idolo rock? Il Decadentismo "colto" di Wilde non potrebbe oggi in qualche misura rivivere proprio nelle immagini survoltate dei video e delle fanzine? Non è forse già accaduto qualcosa di simile con gli adolescenti che si sono infiammati per Di Caprio che corteggiava Giulietta con le parole dell'inglese seicentesco? E, in quell'occasione, il pubblico giovanile non accettava forse e addirittura amava quel linguaggio proprio perché lo sentiva al tempo stesso
"così lontano e così vicino"? Vicino cioè ad una sensibilità tra il romantico e il maledetto assolutamente propria della loro cultura pop-rock, e lontano dalla banalità e dalla freddezza del linguaggio corrente di una società nella quale non si riconoscono più?
E' in questa direzione che si muove il nostro tentativo di riproporre, oggi, non solo il personaggio di Salomè ma anche il testo di Wilde. Nella convinzione che anche il pubblico italiano, o almeno una sua ampia nicchia, sia in grado di rivivere alcuni celebri testi classici negli ambienti e nelle atmosfere dei nostri tempi. In particolare, per la nostra "Salomè" abbiamo immaginato che il banchetto della corte di Erode si trasformi nella festa di una banda criminale, all'interno di una vecchia fabbrica abbandonata che, come accade del resto per i rave, ci appare il luogo naturale di tutte le feste clandestine.
Erode ed Erodiade diverrebbero così il "capo" e la "donna del capo", con un aspetto sempre in bilico tra l'alternativo e il mafioso. Conservando, al di là delle ovvie differenze di ambientazione e di costumi, una sostanziale identità di motivazioni e di comportamenti con i loro modelli originari. Del resto, nessuno è oggi più simile ad un tiranno dell'antichità, di un boss mafioso. I rapporti tra un tiranno e la sua corte, infatti, sono davvero molto simili a quelli tra un capo-banda ed i suoi uomini. E le ultime agghiaccianti scoperte di vere e proprie camere di tortura ed esecuzione dimostrano come gli attuali capi della malavita organizzata dispongano, appunto come i tiranni di un tempo, di un vero e proprio potere di vita e di morte. Continuando nel gioco delle trasposizioni tra ieri e oggi, gli ospiti romani inviati da Cesare potrebbero essere gli uomini di una gang americana proveniente dal Caesar's palace di Las Vegas, vale a dire la banda-leader di cui Erode è tributario. I rapporti di dipendenza nei confronti dell'Impero di Roma, coinciderebbero in questo caso con i rapporti di dipendenza esistenti oggi tra una banda locale e l'Impero globale della malavita organizzata.
Quelli che nel dramma di Wilde sono i Soldati del Tetrarca si trasformerebbero qui nei Guardaspalla del boss, ed in particolare il Giovane siriaco, (in Wilde capitano della guardia), diverrebbe il Primo dei suoi Guardaspalla. Il Profeta Giovanni Battista potrebbe poi trasformarsi in un giovane, eterno prigioniero di Erode, il figlio di un industriale che ha fatto rapire e per il quale non è più riuscito ad ottenere il riscatto. Un rockettaro metropolitano che, proprio in prigionia, ha sviluppato un curioso delirio religioso, in seguito al quale ha finito per identificarsi, appunto, con una sorta di novello profeta, implacabile fustigatore di costumi. Salomè, infine, figlia di Erodiade e figliastra di Erode, potrebbe, oggi più che mai, essere cosciente della propria capacità seduttiva, una forza in grado di mandare in frantumi non tanto le regole morali (ininfluenti nella corte di un tiranno come in una banda dei nostri giorni) quanto le stesse regole del potere, da sempre incardinate sulla credibilità del capo di fronte ai propri uomini. Una Salomè giovanissima destinata ad apparirci come una sorta di "alieno" nei confronti dei personaggi adulti della storia che finirà per distruggere. Uno sguardo "altro" su quanto la circonda che sarà reso esplicito dalla capacità della ragazza di sintonizzarsi su una sua frequenza esclusiva in cui realtà, immaginazione, presente, ricordi siano capaci di mischiarsi continuamente e come naturalmente.
In questa prospettiva - per una storia che rispetta in pieno le regole aristoteliche della tragedia: unità di tempo, luogo e azione - mi sembra determinante la scelta della Location.
La fabbrica, la scatola cine-teatrale in cui si muovono nel corso di un'unica grande notte i nostri personaggi, avrà un solo squarcio sghembo sul soffitto, aperto su un cielo stellato attraversato da una luna maligna. E, all'interno, un'architettura ed un arredamento in stile spudoratamente simil-antico romano. Immergere i personaggi in un'atmosfera da "peplum" anni '60, non rende soltanto ragione del megalomane cattivo gusto tipico degli uomini della criminalità organizzata, ma stabilisce anche un immediato collegamento con gli ambienti della vicenda storica e con l'immaginario cinematografico attraverso il quale tutti noi abbiamo conosciuto e rivissuto quegli avvenimenti.
Così come la grande piscina circondata da un fondale visibilmente finto di un cielo stellato (proprio sotto quello "vero" che si affaccia dalla crepa del soffitto) ci permetterà di sottolineare il senso che in questa storia ha un elemento come l'Acqua. Da sempre simbolo fin troppo evidente della sessualità, della femminilità (il rapporto madre-figlia è alla base di tutto l'intreccio) e, attraverso l'evocazione dello specchio, anche del doppio che segna così profondamente l'essenza dei nostri personaggi.
Quanto al Cast, non soltanto Salomè dovrà essere il più giovane possibile, (in linea del resto, in questo caso, con la realtà storica), ma anche per altri ruoli coinvolgeremo attori giovani che segnino già fisicamente una dissonanza rispetto ai corpi ed ai volti di Erode e degli uomini della banda del Caesar's Palace. La stessa Erodiade, dovrebbe distaccarsi dal clichè classico, per essere interpretata da una attrice ancora giovane e seducente, in qualche modo il doppio-adulto dell'adolescente Salomè. In questo contesto di volti e corpi giovani, un Erode invece decisamente "triste, solitario y final". Un boss stanco e svogliato che, nella assurda ossessione per la figliastra, vive l'ultimo guizzo della sua parabola di capo carismatico prima di avviarsi, ormai sconfitto, verso una inevitabile abdicazione.
Un'ultima considerazione. A dispetto della fin troppo ovvia vocazione di Wilde alla trasgressione, (basta ricordare che "Salomè", pubblicata nel 1893, fu rappresentata a Londra solo nel 1905, e in un club privato), la sua tragedia in un atto ingloba numerosi ed importanti riferimenti religiosi. Non solo nelle tirate del Profeta. Dio, in qualche modo, è tirato in ballo un po' da tutti ma, pur nell'ambientazione della Palestina iperreligiosa di quei tempi, è già ben presente in Wilde il tema della sua assenza. Dice un Giudeo: "...nessuno ha più visto Dio dopo il profeta Elia... Di questi tempi Dio non si mostra. Si nasconde, ed è per questo che gravi disgrazie succedono in questo paese." Riproporre oggi questa vicenda e questi personaggi significa, allora, fare in qualche misura ancora i conti con questo tema del "silenzio di Dio" che può divenire per noi, anche il silenzio dell'etica, dei valori, delle ideologie.
Nella nostra versione, l'inviato dell'Americano, il boss della banda-madre, ironizza così: "Solo gli artisti ormai vedono Dio... ecco perché poi si suicidano...". Dio, dunque, è altrove, non ce n'è più traccia e gli uomini sono tutti, in un modo o nell'altro, degli orfani. E' in questo vuoto spinto che si affollano gli ospiti dell' Erode dei nostri giorni. La sua notte di festa e di morte è la notte di questa assenza. Il Profeta, secondo tradizione, tuona nel deserto. L'"aliena" Salomè è poco di più di una macchina programmata per la soddisfazione dei propri desideri e, al tempo stesso, di quelli della madre che, proprio attraverso di lei, attua finalmente la sua vendetta. E il vecchio boss stanco si apre per la prima volta, forse, al ribrezzo del sangue ma solo quando tutto è, ormai, deciso da altri.
Claudio Sestieri