Note di regia del documentario "La Bambina Deve Prendere Aria"
Realizzare un film sull’emergenza rifiuti in Campania è stata una scelta coraggiosa. Non per l’argomento scottante che tratta o per gli interessi illeciti che denuncia, di questo sappiamo già tanto e niente al contempo, ma per il rischio di sovrabbondanza.
Mi spiego meglio. Nell’ultimo anno, la televisione ci ha vomitato addosso un numero di immagini superiore alle tonnellate di rifiuti che si accumulavano per strada. Abbiamo visto spazzatura nei notiziari dell’alba per terminare in quelli della notte, abbiamo pranzato con le immagini dei rifiuti e vi abbiamo cenato prima di andare a letto. Il fatto è però che in quelle immagini io ho camminato, quella puzza l’ho sentita. La paura delle malattie mi ha lasciato sveglia di notte, mi ha portato a lavare le mani continuamente, mi ha resa ossessiva nello strofinare a lungo frutta e verdura e “Se anche l’acqua fosse avvelenata?”…
La verità è che quando il seme della paura si sparge, germoglia. Quel seme è volato nelle case della Campania e la pianta che è cresciuta non profuma né fa i fiori. Paradossalmente l’immondizia ci ha cambiati, ci resi più consapevoli, ci ha costretto ad essere vigili, ad aprire occhi e orecchie su realtà che guardavamo distrattamente, ha innalzato la coscienza civile, ci ha uniti, ha generato solidarietà ed emozioni, forti almeno quanto l’entità del problema.
E’ di questi sentimenti che voglio parlare, della speranza, di come la vita è cambiata.
Ancor più della denuncia, m’interessano le persone. La loro vita, le loro case. M’interessa capire il loro mondo trasformato, fisicamente e psicologicamente. Un mondo nuovo, direi. Allora sono scesa per strada, ho piazzato la telecamera e ho guardato la gente cosa faceva. Ho aspettato. Piano piano, le persone sono venute a parlarmi, mi hanno invitata a casa, alcune le ho invitate io direttamente e sono andata a trovarle. Mi hanno raccontato storie, sogni, speranze, paure. Lo hanno fatto con intimità, con discrezione ed è con la stessa discrezione che l’occhio della telecamera le guarda senza giudicare e senza invadere. Io e la telecamera abbiamo viaggiato per sei mesi con i nostri protagonisti, rispettando i loro tempi, le loro necessità ed è lungo il cammino fatto insieme, che tante storie mute si sono fatte magicamente voce. Le persone sono stanche ma non hanno smesso di aver fiducia. La loro ultima speranza resta proprio la Parola.
Barbara Rossi Prudente