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"Aspettando il Sole", il "pulp" di Ago Panini


Il film di Ago Panini, se è all'inizio un considerevole ritratto passato (capace d'attualità) di una parte della società degli anni '80, si dimostra presto un lungometraggio che recupera atmosfere tarantiniane già viste e rivela quindi quanto la sceneggiatura abbia poco da raccontare.



C. Fortuna e V. Incontranda in "Aspettando il Sole"
"Aspettando il Sole", il primo lungometraggio del quarantaduenne Ago Panini già presentato in una sezione speciale all’ultima Festa del Cinema di Roma, sarà da venerdì nelle sale con circa 50 copie. Il cineasta torinese, dopo un passato di musicista, è approdato alla regia di spot pubblicitari e videoclip; ora partecipa insieme a Mikado anche alla produzione del suo primo film per il cinema che vanta un cast di tutto rispetto le cui punte di diamante sono Raoul Bova, Claudio Santamaria, Gabriel Garko, Claudia Gerini e Vanessa Incontrada.

Il film”, ha precisato il regista intervenuto alla conferenza stampa, “si può prestare a diverse interpretazioni. Intanto è ambientato nel 1982, che non è solo l’anno in cui l’Italia ha vinto i mondiali ma anche un momento storico che può essere visto come un punto di non ritorno; l’inizio degli anni ottanta è infatti un periodo significativo e strano perché ancora non esistevano i cellulari e neppure internet, e quindi era ancora possibile perdersi. Io avevo bisogno che i miei personaggi, che sono anime alla deriva non più capaci di evitare di delinquere in un qualche modo, si potessero ancora smarrire. Il mio è un film di genere innamorato dei generi, come in Italia non ce ne sono più. Volevo innanzitutto raccontare di personaggi diversi tra loro e fare in modo di sorprendere nella scelta degli interpreti dal momento che in Italia ormai troppo attori finiscono per fare e rifare solo sé stessi. In Aspettando il Sole invece, per esempio, un bello come Raoul Bova interpreta un perdente senza via di scampo, una donna come Vanessa Incontrada si cala nel ruolo di un’amante in cerca di un rapporto porno”.

Gli attori hanno in generale precisato che è stato piacevole lavorare con Panini perché si sono trovati a che fare con un cineasta con le idee chiare che però li ha lasciati sempre liberi nel lavoro permettendogli così di costruire qualcosa con la loro interpretazione, anche cambiando il testo della sceneggiatura.

L’inizio del lungometraggio è sicuramente interessante e promettente, appunto perché non è facile capire che direzione prenderà e quale appunto intende prendere; tre balordi approdano in un hotel fuori mano ed iniziano ad angariare il povero portiere che sta facendo il suo onesto lavoro. "Aspettando il Sole" diventa presto un film corale che narra delle vite dei clienti presenti nell’albergo durante la notte. Conosciamo così un uomo sempre più disperato perché lasciato solo dalla sua donna, un misterioso signore che nasconde in camera un volpino, due amanti che porteranno al punto di non ritorno la loro voglia di sadomaso, due rapinatori reduci dal lavoro, una piccola ridicola troupe di un film porno i cui attori aspirano a qualcosa di più intellettuale a partire dal loro rapporto che è sul punto di nascere. Si tratta di anime perdute e disagiate, in distonia con il mondo che è tutto intorno all’hotel Bellevue che rimane il luogo (ma anche il non luogo) dove hanno trovato un riparo per la notte comunque aspettando il sole appunto, in attesa che la loro esistenza inevitabilmente ricominci probabilmente dal punto in cui non sanno più riprenderla in mano per ritrovarne il controllo.

Se il primo tempo del film è piacevole ed intrigante, nella seconda parte il lungometraggio finisce presto per girare su sé stesso senza la capacità di trovare soluzioni nuove in grado di fare evolvere la storia che finisce presto per portare alla memoria in modo inequivocabile non solo il film collettivo “Four Rooms” ma anche il lungometraggio di Marco Risi “L’Ultimo Capodanno” (purtroppo poco visto al cinema a causa di problemi di distribuzione) tratto da un racconto di Niccolò Ammaniti. Essendo appunto entrambi gli esempi fatti definibili estremamente “tarantiniani” (nel caso del primo “archetipo” citato trattasi di opera cinematografica appunto in parte diretta dal regista di "Pulp Fiction"), si può già intuire quanto la sceneggiatura abbia il fiato corto e si dimostri anzi già vista e volta a recuperare certe atmosfere (a personale avviso sopravvalutate) sui cui binari si è già messo tanto altro cinema, non solo italiano. Forse per questo motivo il finale è talmente dimenticabile da scomparire presto dalla memoria. Questo succede quando, troppo impegnati sul punto di vista tecnico, si dimentica che per fare cinema è fondamentale e doveroso avere qualcosa da raccontare. Certo il ritratto generale del film di Ago Panini è considerevole e tutt’altro che scontato, a tratti divertente, ma una buona forma che non ha contenuto non può che finire per rivelarsi vuota ed inconcludente. Tra gli attori non citati sono da menzionare almeno Rolando Ravello, Corrado Fortuna ed un bravissimo Giuseppe Cederna premiato all’ultimo festival di Annecy come miglior attore.

17/02/2009, 21:53

Giovanni Galletta