Note di regia del documentario "Diario di un Curato di Montagna"
Da bambino facevo spesso il chierichetto. Guardavo incuriosito il calice che si elevava alcielo durante la consacrazione e mi meravigliavo che quel vino, che mio padre bevevatutte le sere e che dava al parroco la domenica mattina, potesse con una formula magicatramutarsi in sangue così, in un batter d'occhio. A volte ne dubitavo ma poi assalito damille rimorsi subito me ne pentivo così che il prete, pur così vecchio e malaticcio,continuava ad avere un non so che di misterioso e potente che lo rendeva diverso esuperiore agli altri uomini. Con gli anni il mio piccolo dubbio non è stato più seguito dalpentimento e per molto tempo sono stato orgogliosamente lontano dalle chiese. Ciònonostante sempre è rimasto in me, pur nel mio irriverente scetticismo, una certabenevolenza per gli uomini e le donne che hanno consacrato e consacrano la loro vita aDio, qualunque confessione essi abbraccino. Hanno le persone di fede un non so cosa diinafferrabile, di sfuggente, una certa ostinazione dello spirito, una certa pacata“irragionevolezza” che le rende a loro modo poetiche e affascinanti, quasi solitari Don Chischiotte della modernità.
Così si è presentato ai miei occhi Don Filippo, giovane e inquieto parroco di lontani esperduti borghi dell'appennino abruzzese. Nella solitudine del paesaggio montano lacondivisione della sua esperienza è stata per me l'occasione per tornare a riflettere nonsolo sulle grandi questioni della fede ma anche per indagare la condizione dell'uomo checon tutte le proprie contraddizioni e inquietudini si pone di fronte al mistero del divino epiega ad esso il corso della sua esistenza. Sullo sfondo, la montagna, il Gran Sassod'Italia, immagine possente e indecifrabile di tale mistero, monumento senza tempo dellasua compresenza, luogo dell'anima dove l'uomo si riscopre fragile fibra dell'universo. Allafine il mio rapporto con Dio è rimasto intermittente ed indecifrabile ma ogni tanto, in quelleantiche chiese quasi deserte, nel canto emozionante delle vecchiette ho sentito scuotermiun brivido dentro e a vacillare, quelle volte, è stata con sorpresa la mia fredda eprepotente razionalità.
Stefano Saverioni