Fondazione Fare Cinema
!Xš‚‰

Vittorio De Seta: "Una volta le icone erano personaggi
come John Lennon e Che Guevara oggi le
icone sono i calciatori come David Beckham"


Vittorio De Seta:
Il cinema documentario è sempre stato considerato, nel nostro paese, il fratello minore del grande cinema a soggetto, quello che nella forma del lungometraggio ha fatto la storia, la forza ed il fascino (anche internazionale) del cinema italiano.
Da alcuni anni, questa situazione è cambiata; finalmente, anche in Italia, il documentario suscita un nuovo e sincero interesse: le produzioni si moltiplicano, trovano spazio e si impongono in festival e manifestazioni

Un maestro del cinema documentario, Vittorio De Seta ("Banditi ad Orgosolo", "Diario di un Maestro", "Un Giorno in Barbagia", "In Calabria", eccetera) è stato ospite al cinema Farnese-Persol di Roma per il settimo appuntamento della rassegna Sguardi Persol nel Cinema, in occasione della proiezione del suo ultimo film “Lettere dal Sahara

Sempre di Sud parlo”. Vittorio De Seta risponde a Cristina Piccino che, alla fine della proiezione del suo ultimo film “Lettere dal Sahara”, ha coordinato l'incontro con il grande regista e il pubblico accorso numeroso, e gli ha chiesto quale fosse la differenza nel suo modo di lavorare tra gli anni Cinquanta/Settanta ed oggi. “Allora eravamo noi i migranti, eravamo noi gli accattoni” prosegue il maestro, “oggi sono altri come quelle persone che , mentre l’Italia litiga con Malta, sono in balia del mare sul cargo Pinar, ancora fermo a sud di Lampedusa, che giovedì scorso ha salvato 140 migranti su due barconi alla deriva nel Canale di Sicilia. Oggi sono persone come Assane, il giovane senegalese protagonista del mio film che dalla sua terra d'origine viene in Italia a cercare fortuna, ma si tratta sempre della stessa cosa”.

E con un certo rammarico ripensa al trattamento riservato al suo film “Non vorrei essere pessimista ma la situazione oggi mi sembra pure peggiorata. Questo mio film è stato ignorato se non addirittura avversato. È uscito in sole 10 copie e anche una parte della critica a Venezia, dove era stato presentato come evento speciale fuori concorso, parlò di buonismo. Ma io mi sono limitato a rappresentare la realtà. Il centro di accoglienza di Torino dove abbiamo girato le scene dell'arrivo di Assane in Italia è davvero così. Inoltre alla fine del film il protagonista viene picchiato a sangue da alcuni naziskin quindi non capisco dove stia questo buonismo, casomai parlerei di malvagismo”. E per spiegare il senso del suo lavoro cita Dostoevskij : “per il grande autore russo quello che conta è la bellezza. Lì per lì questa frase non mi piacque. Poi ripensandoci ho capito che per bellezza non intendeva soltanto un valore puramente estetico ma anche etico e morale. E in effetti anch'io ho sempre cercato di mettere insieme l'etica e la verità”. E a questo proposito Vittorio De Seta guarda con preoccupazione alla società attuale e alle nuove generazioni: “Oggi non ci sono più ideologie. I giovani non sanno niente del vero messaggio cristiano di Gesù. Gesù diceva di cercare la verità perché questa rende liberi. Gesù aveva già capito 2000 anni fa quale era il punto”. E rincara la dose: “una volta le icone erano personaggi come John Lennon e Che Guevara oggi le icone sono i calciatori come David Beckham. Questi sono i segni allarmanti di oggi ma non voglio essere pessimista. Sono consapevole che fare il mio mestiere è molto faticoso e difficile ma consiglio ai giovani che vogliono fare cinema di non aspettarsi troppo ma nello stesso tempo di non demordere mai”.

All'incontro era presente anche la giovane regista Costanza Quatriglio, di cui verrà presentato martedì 21 aprile alle ore 18.30 al Farnese-Persol il film "L'Isola", che ha più di un elemento in comune con il maestro De Seta come tiene a precisare: “credo che il mio cinema come quello di De Seta sia un cinema di confine. Anche io ho lavorato con i migranti nel mio documentario Il mondo addosso. Il nostro compito è quello di portare la gente dove non vuole andare. Io mi lascio trasportare nella direzione della storia che racconto proprio dagli stessi protagonisti di cui parlo. La trama che scrivo a tavolino in realtà è solo un pretesto. Poi mi confronto con la verità dell'esperienza delle persone reali che racconto. L'unica differenza rispetto a De Seta forse è che io non ho improvvisato mai niente”.

Si finisce a parlare anche del terremoto in Abruzzo. Per Vittorio De Seta si tratta di un problema di coscienza: “sono rimasto molto colpito dal fatto che alcuni registi si erano recati sul posto per documentare l'accaduto ma dopo un po' ho pensato che forse era meglio lasciar perdere tutto per soccorrere le persone rimaste imprigionate tra le macerie. Credo davvero sia un problema di coscienza. Io se decidessi di documentare questo tragico evento credo che non lo farei a caldo ma me ne occuperei una volta finito tutto”. Dice, invece, Costanza Quatriglio: “io sono in contatto con giovani film-maker cui ho affidato delle telecamere con cui raccontare il dolore. Ma abbiamo scelto di fare decidere a loro se e come usare il mezzo. Io ritengo che la telecamera sia un'arma. Uno scudo con cui difendersi, per esempio dal dolore, o una pistola con cui attaccare. Mi pareva opportuno che non fossi io a ordinare cosa girare ma di lasciare completa libertà a loro di rielaborare il dolore e di scegliere se riprenderlo o meno”.

19/04/2009, 19:01