L’anteprima mondiale di "Plastic Bag" di Ramin Bahrani apre Corto
Cortissimo, quest'anno ricco di cortometraggi italiani
Con la bizzarra epopea geo-esistenziale di una busta di plastica, vero simbolo universale e trans-culturale della globalizzazione dei consumi e delle menti, si apre – lunedì 7 settembre, fuori concorso – la programmazione di
Corto Cortissimo, curata da
Stefano Martina con la collaborazione di
Giuliana La Volpe, sezione cortometraggi della
66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (2 - 12 settembre 2009), diretta da
Marco Müller e organizzata dalla Biennale di Venezia, presieduta da
Paolo Baratta.
L’anteprima mondiale di "
Plastic Bag" (che ha per protagonista un sacchetto di plastica, la cui voce sarà un’interessante novità, e sorpresa, per il pubblico veneziano…), visionario cortometraggio firmato da
Ramin Bahrani (il regista statunitense reduce dal successo ottenuto al Lido nel 2008 con "
Goodbye Solo" e membro quest’anno della giuria del
Premio Venezia Opera Prima), guiderà una policroma parata di 26 piccoli-grandi film scelti (tra quasi 1.600) privilegiando quelli più impregnati dell’emozione della scoperta – per chi li ha selezionati non meno che per quanti li hanno realizzati.
Tra i 18 film in competizione, rappresentativi di ben 16 paesi e suddivisi come di consueto in tre programmi, spiccano in modo particolare – oltre ad alcuni temi prevalenti, tra tutti le relazioni famigliari più o meno disfunzionali e l’ambientazione domestica, che anche quest’anno dettano legge – un nomadico incrociarsi di nazionalità, origini geografiche e tragitti artistico-professionali ultranazionali frequentemente asimmetrico e obliquo tra i film e i rispettivi autori.
Per la prima volta, la presenza italiana nel concorso riguarda ben tre registi, due produzioni e una co-produzione. Si tratta del notevole esordio nella regia di
Adriano Giannini, che con "
Il Gioco" prende spunto da un racconto di
Andrea Camilleri infondendo ad una storia d’infanzia pervasa di magia una raffinata dimensione visiva messa a punto negli anni dell’apprendistato come operatore di macchina, ancora precedente il suo debutto come attore; della conferma di
Gianclaudio Cappai che, dopo il successo di "
Purché lo Senta Sepolto" al Torino Film Fest nel 2006, con il corale "
So che c’è un uomo prosegue e approfondisce la propria ricerca "(accompagnata da una riflessione che sfiora l’autobiografia) sulle dinamiche disturbate dei rapporti affettivi apparentemente più consueti e ordinari; e di "
Nuvole", mani, la nuova, emozionante opera di
Simone Massi, sicuramente tra i nostri animatori più ispirati e personali, ma anche uno dei meno compresi e valorizzati in patria (da alcuni anni i suoi film battono infatti bandiera francese e sono co-prodotti dal canale tv franco-tedesco ARTE). A completare il quadro nazionale concorre infine la partecipazione produttiva italiana a "
To je zemlja, brat moj" ("
This is Earth, my Brother"), incantata opera ultima dello sloveno
Jan Cvitkovič, ormai alla sua terza presenza a Venezia, dopo il lungometraggio d’esordio "
Kruh in mleko" ("
Bread and Milk", Leone del Futuro nel 2001) e "
Srce je kos mesa" ("
Heart is a Piece of Meat"), in concorso a Corto Cortissimo nel 2004.
Più significativa del solito è anche la presenza dell’estremo oriente. Malgrado si noti (altra novità, dopo diversi anni) l’assenza della Cina Popolare o di Taiwan, di certo non mancano i cineasti di origine cinese, ancorché targati Singapore, Malaysia o perfino Giappone. È il caso del 25enne
Edmund Yeo, già co-produttore del pluripremiato "
The Elephant and the Sea" di Woo Ming Jin e una delle migliori promesse del cinema malaysiano (benché sia nato invece a Singapore e si sia formato in Australia), il quale, trasferitosi di recente a Tokyo, si è ispirato ad una deliziosa novella di Kawabata Yasunari (I canarini, uscito in Italia nella raccolta “
Racconti in un palmo di mano”, Ed. Marsilio) per il raffinato e delicatissimo "
Kingyo"; ma anche di
Shije Tan, l’autore singaporese di "
Er ren" ("
For Two"), una sofisticata meditazione sulla perdita non priva di una encomiabile leggerezza, malgrado sia basata su un fatto vero. Ancora dal Giappone (ma via Stati Uniti) e dalla Corea giungono invece due commedie, rispettivamente "
Jitensha" ("
Bicycle") del nippo-americano
Dean Jamada (la “ricostruzione esistenziale” di un ordinary man metaforizzata dalla ricerca dei pezzi rubati alla sua bicicletta, in una sorta di “caccia al tesoro” supervisionata – nientemeno – da Dio) e "
Umma-e huga" ("
Mom's Vacation"), un musical folle e programmaticamente kitsch genere “casalinghe disperate a Seul” il cui regista
Kwang-bok Kim vanta studi di cinema a Parigi.
Proseguendo in un ideale percorso di avvicinamento al Vecchio Continente, dai paesi dell’Europa Orientale provengono invece sia il russo "
Objekt № 1" ("
Object # 1"), un’allegoria sui simboli del comunismo trasfigurati dalle memorie dell’infanzia firmata da
Murad Ibragimbekov, già vincitore del Leone d’Argento Corto Cortissimo nel 2003 con "
The Oil", sia la commedia grottesca sull’emigrazione illegale e sugli affetti lontani "
Bedniereba" ("
Felicita") della regista georgiana
Salome Aleksi, diplomata in regia a La Fémis di Parigi e impegnata professionalmente tra Tiblisi e Amburgo, come anche l’animazione "
3D Kinematograf" (
The Kinematograph) del polacco
Tomek Bagiński, che nel 2003 fu candidato all’Oscar con The Cathedral.
Oltre ad "
Alle Fugler" ("
Still Birds") della norvegese
Sara Eliassen, che si distingue per l’efficacia con cui mette in scena con pochi e semplici tratti un futuro distopico da cui le parole sono bandite, fanno parte della pattuglia nord-europea anche un pugno di eccellenti corti britannici, a cominciare da "
Storage", in cui
David Lea (già regista di alcuni videoclip dei Radiohead) si appropria dello sguardo deformante di un ragazzo autistico per raccontare il suo problematico rapporto con il padre e con una realtà da cui si sente costantemente minacciato, per arrivare a "
GirlLikeMe" di
Rowland Jobson (una ragazzina è dilaniata tra gli abusi familiari e la pericolosa smania di diventare donna troppo in fretta) e a "
Family Jewels", saggio di fine master all’American Film Institute di Los Angeles dell’inglese
Martin Stitt. È qui che il regista, con l’aiuto di una camera estremamente mobile, affina un’analisi iniziata già con il precedente "
What Does Your Daddy Do?" (Corto Cortissimo 2006) e penetra nei sentimenti che legano tra loro i membri di un nucleo famigliare, ribaltando alcuni stereotipi (la moglie è un soldato in partenza per l’Afghanistan l’indomani) facendo leva sulla cronaca.
Da Israele e dal Sud Africa, entrambi paesi di ruvidi e sanguinosi contrasti, provengono invece due storie di vittime di “istituzioni totali”, segnate per sempre da forme diverse di violenza morbosa. Quella raccontata in "
Sinner" dall’ex musicista hassidim
Meni Philip viene esercitata sul giovanissimo allievo di un convitto religioso ultra-ortodosso dal suo stesso rabbino e maestro, mentre in "
Eersgeborene" ("
Firstborn"), diretto dal sudafricano di origine greca
Etienne Kallos (ma il film è il saggio finale del corso di cinema alla New York University, e il regista è già passato per Cannes, Berlino e il Sundance), il teatro è una famiglia di allevatori afrikaaners, razzisti e ferocemente religiosi, nella quale i due figli si troveranno a perpetuare – attraverso l’omicidio – gli stessi abusi e gli stessi arbitrii ai quali avevano tentato solidalmente di ribellarsi.
Tra i film che la giuria – composta dal regista, produttore e sceneggiatore statunitense
Stuart Gordon (presidente), dall’attrice, critico e direttore di festival
Sitora Alieva (Russia) e da
Steve Ricci (docente, studioso di cinema e responsabile di cineteca - Stati Uniti) – si troverà a dover giudicare, il più lieto e gioioso è però senz’altro il brasiliano "
O teu sorriso", un vero e proprio corpo a corpo sentimentale – ma non solo – tra due anziani amanti rinati alla vita grazie ad un tardivo innamoramento. A firmarlo è il 29enne paulista
Pedro Freire, i cui trascorsi formativi cubani e spagnoli l’hanno condotto in pochi anni a partecipare a vari festival, tra cui Torino e Oberhausen.
Corto Cortissimo – Eventi, il quarto e ultimo programma della sezione cortometraggi, è infine dedicato ai film brevi italiani fuori concorso: al tempo stesso un approfondimento e un percorso parallelo alla competizione. Ne fanno parte due film di diploma come "
La seconda famiglia" di
Alberto Dall’Ara (interpretato da una strepitosa
Alba Rohrwacher, produzione
Centro Sperimentale di Cinematografia) e "
La Città nel Cielo" di
Giacomo Cimini (un brillante sci-fi movie prodotto dalla London Film School), la commedia d’epoca "
Uerra" (amabile e sincero debutto nella regia dell’attore
Paolo Sassanelli), l’animazione
Recordare di
Leonardo Carrano e
Alessandro Pierattini (basata sul suggestivo progetto di ricerca sull’anatomia umana “
Visible Human Project”), i film di due registi diversamente “migranti” come
Annarita Zambrano ("
A la lune montante", Francia) e
Riccardo Pugliese ("
Radio", Stati Uniti) e – come film di chiusura – la divertente microindagine "
The It.Aliens", realizzata nell’amata Umbria dal regista e artista svizzero
Clemens Klopfestein, già giurato di Corto Cortissimo nel 2005, e da suo figlio Lukas Tiberio.
Per suggellare l’intesa tra la programmazione di
Corto Cortissimo e le iniziative di
Circuito Off – Venice International Short Film Festival, CortoCortissimo si trasferisce quest'anno per una serata all' "
Isola dei Corti" di San Servolo. La notte di sabato 5 settembre, d’intesa con Circuito Off, una straordinaria anteprima verrà presentata a San Servolo: quella di "
Earth", il mediometraggio del regista e visual artist singaporese
Tzu Nyen Ho, ipnotico e simbolico tableau vivant post-caravaggesco sul tema del destino della Terra, con un imperdibile accompagnamento musicale dal vivo (a cura dei protagonisti della musica garage singaporegna).
21/08/2009, 17:36