Pulsemedia racconta la guerra in Siria
Dopo "
Piombo Fuso", unica testimonianza documentaristica dei bombardamenti israeliani del 6 gennaio 2009 nella striscia di Gaza,
Pulsemedia torna in prima linea in
Siria con le sue telecamere con il duplice scopo di realizzare un documentario e una serie di clip video per il web con la cronaca e i racconti di quello che accade day by day in questa terra ferita.
Silenzio. Morte. Silenzio. Morte e una sola missione: spezzare questo macabra catena che da mesi attanaglia le sorti di una Nazione martoriata da una dittatura tra le più feroci al mondo, dove possedere una telecamera significa diventare un bersaglio dei cecchini del Regime.
In questo scenario si inserisce la missione di
Pulsemedia con il suo reporter dal campo di battaglia, il regista
Antonio Martino (Premio Ilaria Alpi 2007), deciso a spezzare la coltre di silenzio che i media internazionali hanno steso su di un massacro che trapela in modo discontinuo solo sul web, grazie ai video amatoriali realizzati da manifestanti ancora in vita.
Dal confine turco-siriano Antonio Martino incontra gli eroi di questa guerra civile, nome in codice Freedom 4566, il gruppo di video-attivisti che, rischiando le pallottole del regime, continua a filmare la repressione per distribuirne le prove del massacro sui maggiori siti internazionali di video-sharing.
Il regista italiano si è messo al servizio di queste immagini forti, crude, spesso rubate durante una fuga a perdifiato, affiancandole con interviste esclusive agli stessi attivisti latitanti, inserendole in un contesto più chiaro, comprensibile, spiegando la provenienza e le premesse del girato. Le sue clip vogliono unire un discorso spesso interrotto con il sangue, frammentato sul web, rendendolo continuo, chiaro e comprensibile al resto del mondo.
In più Martino, sempre in collaborazione con
Pulsemedia, sta preparando un documentario, vissuto sul confine non solo geografico di due territori, un confine fisico e psicologico che significa salvezza per i latitanti ribelli, ma anche esilio dalla propria amata terra.
Una storia raccontata sul filo dei volti dei profughi per tratteggiare quaranta anni di dittatura, quaranta anni in cui la vita è cambiata inevitabilmente in peggio, trasformandosi in dolore, repressione, rabbia pronta ad esplodere nelle piazze e nelle strade.
Il regista calabrese intervista i profughi, analizza con i latitanti i filmati di repertorio e quelli rubati dalle manifestazioni, in una rivoluzione dove l’immagine fa più paura del dissenso stesso. Ed è proprio l’immagine che il regista tenta di insinuare nelle pieghe della dittatura, fornendo telecamere agli attivisti rimasti in Siria, infiltrando i video-ribelli fino alle porte del Partito Baath, per spiegare al mondo il perché di una rivoluzione più che necessaria, umanamente naturale.
27/07/2011, 15:52