Note di regia di "Soltanto il Mare"
Ci troviamo a Roma alla fine di maggio del 2009: un etiope sbarcato a Lampedusa, un trapanese che a Lampedusa ha vissuto felicemente per anni, e un romano che Lampedusa non l’aveva vista nemmeno con il binocolo. Lavoriamo insieme all’Archivio delle Memorie Migranti dell’associazione Asinitas, montiamo cortometraggi in un abbaino rosolato dal sole e di tanto in tanto pensiamo alle vacanze. L’ipotesi di andare tutti insieme a Lampedusa si impone quasi subito, all’inizio quasi per gioco, poi come un richiamo insistente, rilanciato ogni giorno dalle pagine dei quotidiani. L’Italia ha appena firmato l’accordo con la Libia, le notizie di nuovi arrivi si mescolano alle cronache dei primi “respingimenti”.
Partiamo senza un progetto preciso ma con due idee chiare: 1) guardare l’isola, e il fenomeno dell’incontro tra isolani e arrivanti, dalla prospettiva nuova di chi effettivamente sull’isola è appena sbarcato; 2) accogliere l’inderogabile volontà di Dag di non occupare il centro della narrazione, di non fare il “personaggio” - lo è già stato abbastanza nella vita e in altri film – per non rubare la scena all’isola e ai suoi personaggi. E’ assai più difficile, ma in fondo è questa la sfida: daremo il ruolo di protagonista al suo sguardo, alla sua capacità di mettere in scena l’isola con la videocamera. (E così è accaduto: il novanta per cento delle riprese montate, tutte quelle sull’isola, i suoi paesaggi, la corsa di Cocò, i momenti di vita, la processione, sono opera sua…).
Sbarchiamo a Lampedusa all’inizio di agosto, in pieno scirocco. Ci svegliamo alle cinque del mattino e riprendiamo dalle sei alle nove e mezza - prima che il sole bruci ogni cosa - o al tramonto. Non abbiamo un piano preordinato, luoghi, situazioni, persone, da raccontare; cerchiamo, “peschiamo”, piuttosto, videocamera e cavalletto in spalla, gli occhi e le orecchie ben aperte. In questo modo incontriamo Cocò, un signore distinto di una certa età che fa jogging ogni mattina all’alba sulla strada di Ponente. La camicia sudata appiccicata al petto, i pantaloni lunghi, il volto attempato contratto dalla fatica, rivelano che non è un turista. Lo seguiamo e lo filmiamo per giorni, senza mai fermarlo, senza chiedergli niente. La sua grintosa corsa nel nulla ci affascina, è una meravigliosa metafora dell’umano affannarsi sull’isola. Ogni mattina ci svegliamo e andiamo a pesca di storie e di personaggi. In questo modo arrivano anche Pep Top, Zi Pasquale, Rizzitelli. Scopriamo che l’isola non è popolata solo da navigatori ma anche da insospettabili poeti: un maestro d’asce che fa cortometraggi, un pescatore-attore, un cantante. Scopriamo che a Lampedusa non c’è un ospedale e non nasce più nessuno da anni. Scopriamo che anche qui il mare si è ammalato e dà sempre meno pesci. Scopriamo che i migranti sono chiamati “turchi”. Così, decidiamo di ritornare una seconda volta, a settembre, per riprendere la processione della Madonna di Porto Salvo, cerimonia fondante dell’isola, e scopriamo che il corteo che unisce tutto il paese è guidato da un prete della Tanzania.
Giorno dopo giorno l’isola si apre e ci regala nuove storie, situazioni inaspettate, cortocircuiti. Al migrante fresco di sbarco l’isola era apparsa come l’avanguardia del benessere - con i suoi alberghi, le sue barche, i suoi turisti - alla nostra videocamera si svela ora piena di problemi; l’aveva immaginata come frontiera del progresso, la ritroviamo isolata dal mondo, con lo sguardo nostalgico rivolto al passato e una patina fresca di vernice già incrostata di salsedine.
Il momento più emozionante è l’incontro con l’equipaggio della 282, la motovedetta della guardia costiera che ha salvato Dag dal naufragio e da una morte certa. Siamo tutti così emozionati che portiamo a casa a stento qualche immagine buona… e il definitivo “grazie” a quest’isola che, proprio come accade ai migranti, paga lo scotto di un’informazione emergenziale e deformante. In maniera naturale ci sembra stia accadendo quanto ci eravamo ripromessi di fare: inquadratura dopo inquadratura, la storia di Dag finisce confluire nella storia collettiva, stratificata e polifonica dell’isola; isola nella quale finisce per perdersi e ritrovarsi innanzitutto come autore, regista e persona, e non più soltanto come semplice “clandestino”, pass numero otto del quarto sbarco del 30 luglio 2006.
Dagmawi Yimer, Fabrizio Barraco, Giulio Cederna