Note di regia di "E Neser?"
…“Oggi una favola voglio raccontare
Comincia di là… dove si trovano i nostri avi
Quando i cristiani vivevano felici
E Skanderbeg si struggeva per noi.” …
Il progetto nasce proprio da questi versi, che racchiudono la malinconia, il sentimento di appartenenza ad una patria lontana, disgregata e logisticamente non definibile.
Sono gli Arbreshe: minoranze linguistiche “sparpagliate” nel corso dei secoli lungo le coste della nostra penisola, in fuga dalle terribili invasioni turche nei balcani e portatori di una cultura lontana, di difficile collocazione all’interno di un sistema chiuso e fortemente radicato come il nostro.
Nei loro canti, nei racconti e nelle tradizioni tramandate oralmente, emerge un costante richiamo alla partia di origine. Una sorta di sehnsucht che fortifica il loro senso di appartenenza, di comunanza e solidarietà culturale, che dimostrano portando avanti l’ultimo baluardo della loro esistenza: una lingua ancora viva, che difendono orgogliosamente e cercano di preservare a tutti i costi dal baratro del dimenticatoio con l’unico mezzo che hanno a disposizione: la parola.
...”Bisogna parlare ...bisogna scrivere ...bisogna muoversi con le idee.
Oggi sono qui che canto il Sangue Sparso non posso dimenticare ...”
La scelta di raccogliere le testimonianze di gente semplice, di paese, nasce dalla volontà di restituire una narrazione genuina, senza artifici linguistici moderni, dare voce alla lingua, seppure contaminata da alcune forme dialettalie, comunque conservata nella sua forma originaria.
Teresa, Matteo, Costanzo, Giacinto, e tutti gli altri non sono solo testimoni; attraverso il racconto di vicende apparentemente paesane, portano avanti aspetti della propria cultura fondamentali per le generazioni future.
Sono radici forti come quelle degli ulivi centenari che popolano il Molise arbëresh e che come loro rischiano di scomparire e cancellare così secoli di storia.
Un viaggio nel ricordo, attraverso la ricostruzione di personaggi caratteristici, espressivi di dinamismo e gaiezza.
Un passaggio di testimone che avviene all’ombra di un albero di ulivo: nonno e nipote custodi del tempo e consapevoli della saggezza in esso racchiusa. La speranza è riposta nelle nuove generazioni: che siano esse a prendere per le mani il tempo, accompagnarlo lungo le strade di paese a dare nuova linfa a questo Molise, terra di transito, luogo d’incontro, dialogo e scambio di culture.
Daniela Giammarino