VENEZIA 70 - "L'intrepido" di Gianni Amelio
Antonio Pane corre da un lavoretto all'altro. Potrebbe avere delle possibilità, è abile, istruito, ama lavorare ma evidentemente non il contorno; i capi, i responsabili, il salario ormai deformati e inquinati, mai privi di aspetti loschi e insopportabili.
La storia di
Gianni Amelio, scritta con
Davide Lantieri, segue la vita di un uomo, dei suoi mille lavori da "rimpiazzo", dei rapporti con il figlio sassofonista e con una ragazza insoddisfatta e non troppo sincera. Ma a legare il cammino del personaggio interpretato da Albanese, non c'è una storia ben precisa, un pretesto magari, capace di segnare la strada allo spettatore. È indubbio che si riconosce una simpatia per lui, ma dopo alcune ripetitività e una certa retorica sugli argomenti che si vogliono denunciare, non è difficile perdere il filo in attesa dell'evento che faccia da traino agli argomenti e ai personaggi.
Senza una storia ben definita le battute, unico mezzo per dimostrare la tesi, sembrano sentenze, pronunciate con nessun indugio da persone che non mostrano alcuna ombra di dubbio, incapaci di spiazzare con qualche deviazione dettata da umana insicurezza.
Albanese funziona nei panni del protagonista, conservando la giusta misura malgrado il suo personaggio potrebbe facilmente fargliela perdere. I due giovani,
Gabriele Rendina (il figlio) e
Livia Rossi (l'amica), appaiono teatrali e accademici ma non privi di potenzialità.
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L'intrepido" sembra essere un'analisi sulla sopravvalutazione del lavoro e le conseguenze che questo ha sulle nostre vite. Messaggio in fondo condivisibile ma che non coglie appieno il centro del bersaglio cinematografico.
04/09/2013, 11:55
Stefano Amadio