Fondazione Fare Cinema
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Note di regia di "Ragazzo"


Note di regia di
Osservando nei dettagli alcune di queste immagini, gli atteggiamenti e gli sguardi come assenti di alcuni soldati, mi sembra di poter misurare un’attesa: è la sospensione che è nelle ore e nei silenzi dei posti di guardia, quella disposizione che emerge nelle lettere, nei diari, in cui il pensiero si confonde con la visione di cose lontane (quella di casa, innanzitutto), unica via di fuga praticabile, per quegli uomini giovani, dalla coscienza della morte incombente. Dentro questo orizzonte della distanza, il villaggio di quota tremila, il luogo in cui questi giovani sono costretti a restare, diventa la materializzazione fisica dell’impossibilità di una fuga. Come tutte le postazioni d’alta montagna è un sistema di baraccamenti isolato, arroccato ai confini del mondo, circondato da altri uomini, invisibili, le cui posizioni possono essere solo immaginate dentro le distese di neve. È come se in queste immagini la terra di nessuno non fosse più solamente circoscritta allo spazio che separa le due linee, ma si dilatasse ed estendesse a perdita d’occhio in ogni direzione nel paesaggio della montagna.

C’è un’immagine che torna spesso nelle parole dei soldati che tentano di descrivere questa loro condizione, quella del naufragio. Uno di loro ha scritto: “Non vedere un albero, un mucchietto di terra, non un fiore, né una timida bestia, né un villaggio, o un tetto di paglia: per giorni e giorni avere addosso soltanto l’occhio degli elementi; di notte la luce di irraggiungibili stelle. Siamo perduti come naufraghi, più vicini a Dio che agli uomini”. Ragazzo vorrebbe esprimere con la stessa semplicità la domanda di senso che è contenuta in questo frammento. A cosa ha potuto aggrapparsi, dentro di sé, in quell’orizzonte isolato, chi ha avuto la fortuna di sopravvivere al naufragio? Nei gesti, nelle espressioni, nello stare di quei naufraghi, ci sono indizi per comprendere quale è stata la forza che li ha sostenuti? Era solo il pensiero di casa? Credo che dentro il loro pensiero di casa si nasconda qualcosa di più profondo, che va al di là delle contingenze e che rende ancora significativa, oggi, per quanto inconsapevole, la loro esperienza. È questo che mi ha spinto, loro coetaneo di un altro tempo, a tentare di stabilire, attraverso le immagini, una particolare forma di dialogo; l’unica possibile, da un capo all’altro dei cento anni che ci separano.

Lorenzo Apolli