Note di regia di "Off Stage - Lontano dal Palco"
Questo documentario nasce per caso. Conoscevo Antonio Turco da un paio d’anni e abbiamo spesso parlato di lavorare insieme, ma non trovavamo mai il progetto giusto. Ovviamente si trattava di opere di fiction, basate sulle storie vere dei detenuti, ma sempre e solo di fiction.
Ho iniziato la mia carriera giornalistica tanti anni fa e ultimamente mi ero sempre più allontanato dalla realtà creandola, riadattandola e modellandola a mio piacimento. Anche se mi piacciono i documentari, non avevo mai provato a realizzarne uno e magari non l’avrei mai fatto se il produttore Sante Giavazzi e Antonio Turco non mi avessero chiesto di curare le riprese di uno spettacolo della compagnia Stabile Assai. Fino a quel momento non li avevo visti recitare, né avevo avuto modo di vedere Cesare deve morire dei Fratelli Taviani che era uscito da poco. Li ho incontrati alle prove dello spettacolo e ho avuto la folgorazione. Avevano delle storie, dei percorsi che andavano raccontati. Ero catturato. Dovevo realizzare un documentario su di loro.
Ora dovevo scrivere la storia, una traccia. Almeno uno straccio di scaletta. È così che sono abituato a lavorare. Ci sono storie che nascono di getto e le scrivi in poche ore e ci sono storie che sedimentano per anni dentro di te. In questo caso ho operato al contrario: Dovevano essere i detenuti a determinare la storia del film e non io. La mia vecchia identità da giornalista risaliva dal fondo della mia coscienza e gridava. È realtà, non finzione. Non puoi toccarla. Non puoi manipolarla!
A questo si è aggiunto un altro problema. Purtroppo io a differenza della maggior parte dei miei colleghi cambio stile a secondo di quello che giro. Perché credo che sia la sostanza a definire la forma e non il contrario. E quindi sono le mie storie e i miei dialoghi a definire lo stile e non la fotografia. So che è un approccio più da scrittore che da pittore, ma è il mio approccio alla materia e al lavoro. Per seguire questa logica fino in fondo il documentario è stato realizzato senza Direttore della Fotografia. Apposta per essere il più giornalistici possibile e seguire la teoria di Rossellini che diceva: se vedo una bella inquadratura in uno dei miei film la taglio.
Il sette di maggio ho iniziato a girare con questi due chiodi fissi in testa: niente storia e niente direttore della fotografia. Doveva essere vero. Non avevo ancora visto Cesare deve morire.
A metà agosto parto per le vacanze ancora senza storia e senza direttore della fotografia, ma avevo girato più di 400 ore di materiale. Sante, il produttore, era tranquillo. Sante è sempre tranquillo.
Io dicevo che secondo me mancava ancora qualcosa da girare. Tutti gli altri dicevano che ero matto e che non sarei riuscito a tirarci fuori niente. Almeno avevo visto Cesare deve morire e mi ero rilassato. Per fortuna stavo facendo qualcosa di completamente diverso. Tornato dalle vacanze, parto per il Festival di Venezia che ancora non ho iniziato a montare un singolo fotogramma, ma sono stranamente sicuro e rilassato. Certo dovevo girare ancora un po’ di materiale, ma avevo la sicurezza che quello che avevo in mano era buono. Sante, il produttore, era tranquillo. Sante è sempre tranquillo. Tutti gli altri continuavano a dire che ero matto e che non sarei riuscito a tirarci fuori niente.
Torno da Venezia e inizio il montaggio con Fabio Scacchioli e scopriamo che nella mia follia, per una volta avevo avuto ragione. Il film è stato facilissimo da montare. La storia era tutta lì, vivida e illuminata dal sole.
Certo ho dovuto girare un altro po’ di scene. Ora sono qui. Speriamo che il risultato vi piaccia.
Francesco Cinquemani