Note di regia del documentario "Posidonia. I Fondali della Metropoli"
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Posidonia. I fondali della Metropoli" è un viaggio, sonoro e visivo, sulla linea costiera, emersa e sommersa, prossima alla città di Napoli. Racconta il rapporto viscerale che lega l’elemento marino e la città attraverso la narrazione (auto)biografica di Claudio Ripa, storico subacqueo partenopeo, profondo conoscitore dei fondali metropolitani e già campione del mondo di Apnea nel 1959. La voce di Ripa accompagna il pubblico attraverso lo spazio emerso e sommerso della città a partire dall’area portuale (polmone pulsante e porta della città) passando per San Giovanni a Tedduccio e Bagnoli, le due zone urbane che hanno vissuto dapprima l’industrializzazione (Raffinerie petrolchimiche e Acciaierie) e negli ultimi anni un devastante fenomeno di deindustrializzazione e desertificazione.
Il racconto biografico e la voce narrante svelano una Napoli sconosciuta, inusuale, ritratta negli interstizi che separano mare e terra. È un paesaggio di terra emersa priva di eco da cartolina, irto di teorie di gru per la movimentazione dei container, occupato da grandi stabilimenti produttivi scomparsi affiancato al panorama sommerso di porzioni di mare, per lo più, inaccessibili agli uomini. È il confine tra città emersa e sommersa, un luogo invisibile ma in continua trasformazione, uno spazio vissuto, sorprendentemente dalla fauna e dalla flora marina, un territorio in continuo movimento provocato dall’insaziabile tentativo umano di sottrarre terra allo spazio acqueo.
Nel film il mare diventa l’ambiente narrativo della città, la sua essenza, la sua ragion d’essere. Ma sullo sfondo emerge una microstoria situata, il racconto di una vita vissuta sott’acqua che offre una prospettiva non convenzionale per raccontare la complessità di una metropoli adagiata e vittima di autorappresentazioni e corazza caratteriale sedimentate nel tempo.
Dal mare si osserva la storia di una città involontaria, sensibile, feconda, libera da stereotipi e luoghi comuni, si ascoltano i segreti della vita sommersa, della sua capacità di sopravvivere, insistere ed adattarsi alle continue aggressioni che l’uomo in/coscientemente esercita sullo spazio marino.
Il progetto Posidonia nasce dalla volontà di raccontare la città di Napoli partendo dal mare, ovvero quello spazio incombente sulla città ma che sembra essere un luogo sconosciuto alla popolazione. Quel mare che, come ha scritto la scrittrice Annamaria Ortese, non bagna Napoli.
La città vive sul mare, si è strutturata nei secoli modificando la linea costiera, ha usato lo specchio marino per svilupparsi ma continua a sviluppare una certa ritrosia, timore e, se non una vera e propria diffidenza verso il proprio confine acqueo. È una città che si sente assediata dal mare.
Il golfo di Napoli storicamente, è un importante luogo di biodiversità (non a caso nel 1875 il biologo marino tedesco Anton Dohrn vi ha fondato una delle stazioni zoologiche più importanti del mondo) generata dalla tipologia dei fondali che, insieme al particolare gioco di correnti, garantisce l’esistenza di una flora e fauna peculiari e uniche nel Mediterraneo.
È lo specchio della terra emersa con vulcani, canyon, promontori e improvvise distese che ne tracciano l’identità morfologica e la sopravvivenza schizofrenica.
Nonostante l’insistenza della metropoli, delle fabbriche, del grande porto, degli scarichi incontrollati, la vita sottomarina continua a svilupparsi e popolare i fondali più inattesi: quelli corrispondenti ai luoghi più inaccessibili della città, quelli meno frequentati, raccontati, visti.
Il fondale è una città sommersa che in pochi hanno attraversato, il racconto di Claudio Ripa è la testimonianza di un attraversamento, dell’esplorazione continua dello spazio acqueo prossimo alla metropoli, dei dettagli della trasformazione dei fondali, dei suoi abitanti.
Raccontare i fondali ha significato interrogarsi sulla trasformazione urbana della città e provare a tracciare una narrativa sonora e visiva di Napoli che non riprendesse categorie predefinite o rappresentazioni esotiche segnate da un certo “orientalismo” affermatosi negli ultimi anni.
L’aspetto sonoro, infine, è l’elemento su cui si è voluto lavorare con particolare dedizione provando a tracciare un filo rosso che unisse i vari tasselli della storia visiva costruita con materiali di tipo diverso e dilatata in una prospettiva diacronica che abbraccia l’arco del Secolo Breve appena terminato.
Marcello Anselmo