Note di regia de "La Prima Luce"
L'idea del film nasce dalla somma di tante cose: la mia costante osservazione della realtà, la voglia di raccontare le trasformazioni in atto nella società e questa storia sempre più urgente. La storia narra della vicenda dei figli contesi, bambini figli della globalizzazione: una storia di fatto universale, al di là dei due paesi scelti. Quando una storia d'amore finisce e ci sono i bambini di mezzo è sempre molto doloroso e difficile ricomporre l’esistenza delle persone coinvolte, ma quando a questo si aggiunge la distanza fisica, la complessità che nasce da mentalità e culture differenti , le complicazioni diventano imponenti. Sempre più frequentemente queste vicende si svolgono tra paesi diversi, le cui leggi differenti costituiscono un ulteriore motivo di problematicità e non è raro che in questi casi spesso si tende a tutelare il cittadino residente, più che salvaguardare l’interesse principale quello cioè del minore coinvolto. Martina è arrivata in Italia, dopo aver vinto un master e spinta dal mito delle sue origini italiane.
Martina si innamora di Marco viene travolta dalla passione e decide di rimanere con lui. Ma dopo essere diventata mamma, col passare degli anni, il rapporto con Marco va in crisi. Martina inizia a sentire il bisogno di "tornare a casa" sua. Le logiche del mondo si sono ribaltate: nel suo paese si aprono possibilità economiche di benessere e di futuro per lei e per suo figlio, che la vecchia Europa non sembra poter più assicurare , man mano dentro di sé questa consapevolezza prende il sopravvento e “tornare a casa” diventa una necessità sempre più impellente. D’altra parte Marco è il classico giovane del sud Italia rampante, diviso tra valori antichi, quelli di una famiglia e di un benessere economico e sociale, ma anche "figlio" di un cinismo e di tante storture dei nostri giorni. Marco fa l'errore di considerare Martina come una cosa già conquistata e tutta la sua energia si riversa sul figlio e sul desiderio della sua carriera. Una volta rimasto solo però dovrà crescere, prendere in mano la sua vita e capire quali sono le cose veramente importanti della vita. In questi anni ho visto una trasformazione inversamente proporzionale tra l’Europa e l’America Latina. Da una parte la decadenza, la crisi economica e meccanismi invecchiati, dall'altra, un paese giovane che scommette nel futuro e in espansione economica .
Ogni giorno di più nelle strade di Santiago si scorge la presenza di giovani europei (in particolare spagnoli, italiani) che come i loro nonni hanno attraversato l'oceano con la speranza di un futuro migliore. I confini si sono ancora una volta ribaltati. Partendo quindi da una mia urgenza di realizzare un film su questa storia così attuale e ad oggi ancora molto poco raccontata dal cinema, ho capito che la materia si offriva a tanti altri spunti e metafore. Martina che all'inizio del film potrebbe essere vista come la straniera senza patria e senza possibilità, una volta tornata a casa, riesce a beneficiare delle enormi possibilità economiche che offre il suo paese e la vediamo inserita in un contesto di benessere in una città in espansione . Marco ha pensato di poter trovare in Martina il "prototipo" di una figura femminile antica ma una volta però che è costretto a attraversare l'oceano, come molti emigranti italiani ad inizio secolo, si renderà conto che la cosa più importante che ha è suo figlio e sarà anche pronto a ripartire da capo, pur di non perderlo. Nella vicenda inoltre affiora un'altra metafora sottile che mi è sembrata utile inserire nel film: quella dei desaparecidos cileni. Martina di fatto fa scomparire suo figlio e Marco è costretto a tutto pur di ritrovarlo.
Vincenzo Marra