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TFF33 - Intervista ai registi di "Irrawaddy mon amour"


Un lavoro collettivo firmato da Andrea Zambelli, Nicola Grignani e Valeria Testagrossa


TFF33 - Intervista ai registi di
Andrea Zambelli, Nicola Grignani e Valeria Testagrossa hanno diretto "Irrawaddy mon amour", in concorso nella sezione Italiana.Doc al Torino Film Festival: li abbiamo intervistati.

Come avete conosciuto i protagonisti del vostro documentario?

Nel 2009 (dice Valeria Testagrossa, NdI) ero in Myanmar come fotografa, e per caso sono capitata in questo paesino: era difficile uscire dalle grandi città, ma la mia curiosità mi ha spinto a provarci, e dopo chilometri nella campagna birmana sono arrivata lì. Potete immaginare la mia sorpresa nel trovare in un posto così piccolo e isolato una comunità LGBT così grande e attiva!
Sono rimasta lì qualche giorno, ho conosciuto gli abitanti del villaggio: nel 2014 poi ho chiesto ad Andrea e Nicola di tornare con me, e mentre facevamo il nostro primo sopralluogo nell'estate 2014 abbiamo saputo di questo primo matrimonio omosessuale in preparazione, e inevitabilmente abbiamo messo quello (avvenuto a cavallo tra 2014 e 2015) al centro del nostro racconto.

Quali sono state le problematiche maggiori?

La lingua, ovvio, ma anche e soprattutto il regime militare che, almeno fino alle elezioni dello scorso 8 novembre, ostacolava i rapporti tra popolazione e stranieri. Per la lingua, invece, il primo mese siamo rimasti senza interprete, per creare un rapporto più diretto. Poi, al secondo tentativo, abbiamo trovato Ambros, uno straordinario interprete che è diventato un membro aggiunto della troupe, ci dava un'interpretazione ulteriore di ciò che vedevamo, ci aiutava nelle riprese e ci dava anche utili suggerimenti: senza di lui sarebbe stato molto più complesso il lavoro.

Strano non vedere quasi in un lavoro così discorsi politici, o sulla situazione militare del paese.

Sicuramente la nostra scelta è stata di incentrarci sulla storia d'amore da raccontare come una favola: loro affrontavano una situazione anche pericolosa (si rischiano anni di carcere per omosessualità in quel paese ancora oggi!) con una naturalezza tale che non veniva proprio da calcare sull'aspetto politico. Dal momento in cui prendono la decisione di sposarsi, loro sono totalmente presi dall'azione, nonostante le avversità.
Abbiamo deciso di alternare alla linea narrativa del matrimonio alcuni momenti di "viaggio", con una musica che richiama al cinema asiatico, per trasportare allo spettatore il sapore del contesto. La scommessa più difficile è stata poi al montaggio, per amalgamare le due parti.
Non potevamo però prescindere dal luogo dove eravamo, dovevamo spiegarlo e in questo senso la primissima scena è decisiva: spesso molti ci hanno chiesto prima di fare il film cosa ci fosse di particolare nella nostra storia... 50 anni di regime militare che lo impediscono, quantomeno!
Le cose da raccontare sarebbero state moltissimo, il Myanmar non è molto conosciuto, ma abbiamo dovuto e preferito concentrarci su una sola storia.

Impossibile non pensare al vostro precedente lavoro, Striplife.

In maniera naturale e istintiva è il nostro modo di girare, entrare nelle situazioni ma cercando poi uno sguardo che potremmo definire quasi etnografico. Avevamo le idee chiare su come snodare il percorso, ma qui - contrariamente a Striplife - la coralità dei personaggi è tutta rivolta all'organizzazione del matrimonio (mentre là non si incontravano).
Dal punto di vista visivo i due lavori si assomigliano, anche se qui abbiamo usato di più la camera a mano, mentre in Striplife l'inquadratura era più fissa per dare l'idea della "cornice" (la striscia di Gaza) da cui è impossibile uscire.
E dal punto di vista pratico, lavorare in tre ci viene facile, abbiamo un'idea comune di come girare, di come affrontare le storie: poi magari discutiamo in fase di montaggio, ma in fase di riprese siamo naturalmente in sintonia.

RECENSIONE DI IRRAWADDY MON AMOUR

27/11/2015, 11:30

Carlo Griseri