I CANTASTORIE - Ritorno nella Sicilia delle tradizioni
Un uomo in viaggio verso la sua terra d’origine, un paesino non ben identificato della Sicilia, accompagnato solo da due bagagli: uno alleggerito da una società scriteriata e una moglie tutta devota alle apparenze, e l’altro decisamente più pesante; una figlia che, con il suo incondizionato affetto, ha scelto di seguirlo.
All’interno di una struttura narrativa che vede quest’uomo e padre rialzarsi da vari fallimenti, si staglia in modo poco approfondito e caratterizzato l’antica arte dei “Cantastorie”, mestiere che prevede il canto e il racconto di leggende folkloristiche. Buona l’intenzione di ripresentare l’antico contrasto tra realtà rurale e urbana attraverso l’arte e le tradizioni del nostro paese, che viene però sviluppata in maniera piuttosto edulcorata e poco pungente sia nella direzione degli attori che nella scelta delle musiche. L'uso della macchina da presa sembra molto educato, privo di slanci e che tra le altre cose si mostra pigro nell’evidenziare il panorama che vi fa da sfondo.
Appare ben affrontato il tema del ritorno alle origini e di una rinascita spirituale, che si avvale e si avvalora della recitazione naturalistica di
David Coco, che si dice "ben contento di interpretare il ruolo di un uomo che racconta i suoi tempi e che riassapora la propria terra".
Gian Paolo Cugno, spinto dalla necessità di proporre temi e tecniche delle vecchie pellicole neorealiste, realizza a suo dire “un film “polveroso”, fatto con discreti mezzi, dove l’incognita era sempre dietro l’angolo, ma che ha permesso di riassaporare quello che era il cinema puro”.
Un’idea molto delicata e all’apparenza anche vincente che come tante altre soffre dell’ormai moda dominante di un cinema che non osa più, e che di neorealista ha ben poco se non la scelta di alcuni “non-attori” del posto. Come recita il film: “Per fare il Cantastorie ci vuole talento, e quello te lo dà soltanto il buon Dio”. Buona la fotografia di
Giancarlo Ferrando.
27/10/2016, 16:51
Giulia Bandini