Note di sceneggiatura de "La guerra è finita"
Ho scritto questa storia mosso da un’emozione provata alcuni anni fa, leggendo una delle prime pagine del romanzo di Primo Levi “La tregua”. Ecco, il passo di Levi è questo: “I bambini erano a Birkenau come uccelli di passo: dopo pochi giorni, erano trasferiti al Block delle esperienze o direttamente alle camere a gas... Hurbinek era un nulla, un figlio della morte... Dimostrava tre anni circa, nessuno sapeva niente di lui, non sapeva parlare e non aveva nome: quel curioso nome, Hurbinek, gli era stato assegnato da noi, forse da una delle donne, che aveva interpretato con quelle sillabe una delle voci inarticolate che il piccolo ogni tanto emetteva... Hurbinek, che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero, Hurbinek, che aveva combattuto come un uomo, fino all'ultimo respiro, per conquistarsi l'entrata nel mondo degli uomini, da cui una potenza bestiale lo aveva bandito; Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morí ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento”. È una di quelle pagine che, come certe volte succede, lavorano dentro, si vanno a nascondere da qualche parte, e restano lì. Tre anni fa, subito dopo aver ricevuto una proposta Palomar di affrontare il tema dei bambini reduci dai campi, questa pagina è riaffiorata. E nel lungo lavoro di stesura del copione, Hurbinek è stato per me una piccola guida silenziosa.
Sandro Petraglia
08/01/2020, 10:25