Note di regia di "Ritratto di regina"
Elisabetta II ha lavorato nel tempo con grandi fotografi a cui ha commissionato suoi ritratti per costruire, comunicare e gestire la propria immagine. Paola Calvetti, l’autrice del libro “Elisabetta II. Ritratto di Regina”, mi ha chiesto di curare regia e fotografia del film omonimo da lei scritto. L’intuizione di Paola di raccontare questo inedito punto di vista sulla collaborazione tra la regina Elisabetta II e i grandi fotografi è avvincente e vincente. Ho iniziato il lavoro con cautela, cominciando a immaginare un punto di vista a sua volta inedito per trasformare quel testo in un film. Partiamo dal presupposto che l’immagine emana dal soggetto verso chi la percepisce: ci viene incontro, rendendoci oggetto di questa manifestazione. Da qui il carattere percussivo che immagini, montaggio ed effetti hanno assunto all’interno del film. Dal punto di vista delle riprese, ho deciso di rinunciare alla panoramica, evitando tutti i movimenti di macchina che ricalcano la “lettura” da sinistra a destra e cercando invece, quando possibile, di creare immagini che dallo schermo ci raggiungessero, quasi venendoci incontro. Le riprese sono state realizzate con macchine da presa 6K e 4K, scegliendo tra i modelli più leggeri e avanzati che il mercato offre: in studio, ho optato per la Black Magic Pocket Cinema Pro e negli esterni per un iPhone 13 Pro. Diversamente da quanto accade nel libro, non ho girato nessuna vera e propria intervista con i fotografi che hanno fotografato la Regina Elisabetta II: ho preferito realizzare i loro ritratti in studio, con una luce pittorica, in una “scatola” nera, ritraendoli vestiti di nero. Il loro racconto, le loro emozioni nel ricordare la loro storia, le loro esperienze con la Regina condivise con me (un collega che conoscono e stimano e che li conosce e stima a sua volta) hanno permesso a impressioni ed espressioni autentiche di affiorare libere e di essere raccolte appositamente per questo film. Il nero che li circonda riesce ad annullare tutto quello che avrebbe potuto distrarci da occhi, volti, parole, emozioni. E l’empatia tra colleghi scaturita in questi incontri ha generato momenti di inattesa solidarietà e profonda commozione. C’è stato poi l’incontro con Charles Dance. Prima di conoscerlo personalmente a Londra, avevo deciso che avrebbe letto i diari, i racconti, le idee sulla fotografia dei grandi fotografi scomparsi che fotografarono la regina, sempre all’interno della “scatola nera”, ma illuminato anche dalla luce di un iPad. Quindi non solo una voce narrante, ma una presenza vera e propria che avrebbe costituito la spina dorsale del film.
Dopo averlo incontrato, colpito dal suo carisma, dalla sua voce e dalla sua espressività e intelligenza, ho capito che il suo contributo avrebbe potuto essere ancor più determinante e convincente se il suo magnetismo non fosse stato frenato da un ruolo, ma fosse stato libero di rappresentare se stesso. Come è avvenuto. Questo elemento cruciale si è fuso con improvvise accelerazioni e decelerazioni del racconto, che ho inserito per ottenere una struttura emotiva dalla “narrazione ad elastico”, che fosse capace di tendersi e distendersi, di destare interesse e sorpresa e di catalizzare l’attenzione. Un film sull’immagine come questo ha il grande vantaggio di vedere riuniti in una sola persona i ruoli di regista e direttore della fotografia. Di questa fusione congenita di ruoli avrei dovuto e potuto cogliere tutti i vantaggi visto che, per esempio, non avrei dovuto spiegare a qualcun altro il senso di quello che volevo ottenere affinché illuminasse o filmasse in un certo modo una data scena. Insomma, non avrei dovuto cercare una convergenza visto che partivo da una fusione… Ma non è tutto. Il film doveva avere il contributo fondamentale di un artista che sapesse farlo “vedere anche a occhi chiusi”. Ci è riuscito il compositore della musica, Remo Anzovino, che ha scritto un tema indimenticabile. Un modo superbo per dare colore, attraverso la musica, al ritratto di Elisabetta II.
Fabrizio Ferri