THE GOOD MOTHERS - Dal 5 aprile in streaming
Basata su una storia vera, “The Good Mothers” ripercorre le vicende di Denise, figlia di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, tre donne che si sono opposte alla ‘ndrangheta. Ad aiutarle la pm Anna Colace che, appena arrivata in Calabria, ha l’intuizione che per poter abbattere i clan della ‘ndrangheta è necessario puntare alle donne. È una strategia che comporta grandi rischi: la ‘ndrangheta è nota e temuta per il suo pugno di ferro e il potere insidioso. La serie in sei episodi segue Denise, Giuseppina e Maria Concetta nel loro tentativo di affrancarsi dal potere criminale e collaborare con la giustizia.
“Abbiamo avuto la possibilità di raccontare dal punto di vista femminile la mafia”, ha spiegato il regista Julian Jarrold in conferenza stampa, “tante serie hanno mostrato le cose dal punto di vista maschile con una violenza il più delle volte troppo esaltata. Qui abbiamo potuto raccontarla da un’ottica nuova, avvicinandoci a queste figure femminili attraverso il pericolo, un pericolo spesso non manifesto ma nascosto, strisciante, e attraverso il punto di vista della pm Colace che ha scelto di lavorare sulle figure femminili di questa organizzazione per cercare di allontanarle da mariti violenti e portarle verso la libertà, senza però dimenticare che la minaccia è sempre dietro l’angolo, queste donne vivono costantemente con la paura di una vendetta da parte dell’organizzazione che hanno tradito”.
“L’avventura per me è cominciata con la lettura dell’omonimo libro di Alex Perry”, ha dichiarato la regista Elisa Amoruso, “un mondo che mi sembrava lontano secoli per quanto riguarda la condizione di queste donne, come quella di Lea Garofalo, donne sposate con uomini che non avevano scelto, che si sono trovate spesso sole a crescere dei figli avuti a 15 o 16 anni mentre i mariti erano in carcere. Gli altri avevano deciso per loro, non avevano avuto la possibilità di decidere del loro destino. Sono storie necessarie, che bisognava raccontare, abbiamo rivolto l’attenzione verso quelle che sono sempre state considerate l’anello debole della mafia e non solo. Donne coraggiose che hanno intrapreso un viaggio difficile, rinunciando alla loro identità, alcune di loro sono ancora nascoste in località segrete, fino ad oggi sono state delle protagoniste invisibili ed era necessario dare loro una voce. C’è una sorta di thrilling ma psicologico nella serie, sono braccate di continuo”.
“È una presa di coscienza molto dolorosa, rendersi conto non è scontato come possiamo pensare”, ha spiegato Valentina Bellè che nella serie interpreta Giuseppina Pesce, “il percorso di Giusy è stato molto doloroso, non ha preso coscienza subito ma credo che a darle la forza definitiva sia stato proprio il fatto che si è resa conto che i suoi figli erano manipolati”.
Micaela Ramazzotti veste i panni invece di Lea Garofalo, cresciuta all’interno di una famiglia di affiliati alla ‘ndrangheta, decise di denunciare la famiglia e il marito Carlo Cosco per proteggere la figlia.
“Lea Garofalo ce l’ha messa tutta per scappare, purtroppo non ce l’ha fatta,” ha dichiarato l’attrice, “ma in qualche modo ha dato forza e coraggio a sua figlia per testimoniare contro il padre. Questa è una serie potentissima, per me è come se fosse un film a sei puntate, il cinema ci dà fa ridere, piangere, innamorare, spero che “The Good Mothers” dia il coraggio a tante donne ma anche a tanti uomini di ribellarsi alla violenza e a certi ambienti feroci”.
Nella parte del feroce Carlo Cosco, marito di Lea, l’attore calabrese Francesco Colella che ha spiegato in maniera chiara e sentita il suo rapporto con questo personaggio:
“Di solito un attore non dovrebbe mai confessare la propria fatica nel fare un lavoro, qui lo faccio apertamente, non sono d’accordo sul fatto che non si possano giudicare certi personaggi. Io ho provato repulsione per il personaggio che ho interpretato, avevo bisogno a fine giornata di rigettarlo per non rimanerne contaminato. Sembra che dietro questi uomini di mafia ci siano occulte storie criminali, invece sono degli omuncoli che vivono nascosti, che non sanno chi sono se non quando ordinano la morte, abita in loro il vuoto dello spirito, non coltivano sentimenti, confondono l’amore con il possesso e le loro relazioni hanno fini utilitaristici. Quindi io dovevo rappresentare un uomo di questo genere e dovevo farlo con il massimo delle mie possibilità, il mio desiderio era di non innescare un processo di immedesimazione con il pubblico, né di seduzione ma di repulsione. Sono grato a questa serie perché non cede alla spettacolarizzazione, perché c’è uno sguardo lucido e si mette nel solco di una cultura che apparteneva a cineasti come Francesco Rosi o Elio Petri, persone che avevano un punto di vista morale, che significa sapere da che parte stare per raccogliere tutta la forza possibile nel raccontare qualcosa”.
05/04/2023, 08:42
Caterina Sabato