MINO CAPUANO - "Racconto il quotidiano in modo personale"
Una discretamente lunga lista di cortometraggi diretti (l'ultimo dei quali, "Sciaraballa", è stato presentato in concorso al festival di Clermont Ferrand a inizio 2023), un esordio per ora semi-invisibile, "Quanno chiove", tante idee su cosa e come voler raccontare attraverso la macchina da presa:
Mino Capuano è un giovane talento di Marcianise, in provincia di Caserta, che darà sicuramente ottime soddisfazioni al cinema italiano nel prossimo futuro.
Iniziamo dalla fine (per ora), da Clermont Ferrand, il più importante festival al mondo per il formato breve: che emozione è stata?
E' stato davvero molto bello, insieme a un altro corto ("In Quanto a Noi" di Simone Massi, NdR) ho avuto l'onore di rappresentare l'Italia in concorso. E' stato bello anche perché le sale erano piene, un pubblico dai 12 ai 60 anni e più: in Francia questo evento è un'enorme festa del cinema, tutta la città andava in sala, è stato incredibile.
Io ho visto cinque delle otto repliche del mio corto e c'erano sempre almeno mille persone a proiezione, incredibile!
Come potremmo presentare "Sciaraballa" a chi non lo avesse ancora visto?
E' stato il mio corto di diploma per il Centro Sperimentale di Cinematografia, possiamo dire che è stata un po' la fine di un percorso.
A me piace molto il mediometraggio da 30-40 minuti circa, un genere che - a parte le puntate delle serie tv - oggi è un po' raro. Eppure ci sono precedenti illustri, pensa al Decalogo di Kieslowski.
Ho indagato molto il mediometraggio finora nella mia carriera, ora sono anche più consapevole del mezzo e sono riuscito a costruire una storia che andasse più a fondo nel racconto.
Rappresenta la fine di un percorso molto lungo in cui cercavo di capire quale fosse l'equilibrio giusto tra l'osservazione e una forma narrativa diversa, relazioni familiari tipiche italiane raccontate con una visione più orientale.
Come scegli i temi dei tuoi lavori, e come individui il cast giusto, che spesso è costituito da attori di generazioni diverse ma con radici comuni?
Cerco sempre l'eterogeneità nel mio lavoro anche perché mi piacerebbe riuscire a parlare un po' a tutti, scegliendo temi apparentemente banali (detto in modo un po' provocatorio). Molte volte siamo tentati di cercare qualcosa di diverso e originale per fare la cosa "figa", però in realtà la sfida difficile è quella di avere temi magari non nuovi ma raccontati in un modo personale, che punti poi ad arrivare all'universale.
Affrontare la banalità e cercare di renderla originale è il mio obiettivo, con una composizione lenta dell'inquadratura e la scelta di attori che devono avere un legame intimo, tra loro o con me, nella vita personale.
Franco e Domenico Pinelli di "Sciaraballa" sono davvero padre e figlio, nell'ultimo capitolo di "Quanno chiove" ho scelto due attori che fossero una coppia nella vita reale, in "Appocundria" i tre fratelli sullo schermo sono amici da oltre vent'anni, ma anche Gianfranco Gallo e Gianni Parisi sono amici da una vita e io conosco personalmente da sempre Lorenzo Fantastichini...
Cerco di usare le relazioni tra loro che già esistono per dare un senso ulteriore di autenticità al film, mi nutro del loro legame privato. Cercare anche un punto di equilibrio tra "nuovo" e "usato" nel cast è fondamentale.
Un anno fa eri a Bimbi Belli, la rassegna di esordi curata da Nanni Moretti, con il tuo "Quanno Chiove", che non era mai uscito in sala: come ci sei arrivato?
"Quanno chiove" è un film che definisco inesistente e persistente, ma anche in qualche modo impermeabile.
Devo tanto a Nanni Moretti, è stata un'esperienza enorme per me la proiezione al Nuovo Sacher. Il percorso che ho fatto per arrivare a farmi selezionare da lui è stato a suo modo molto romantico, per l'amore che ho per il cinema e la lotta che sto facendo per poterlo fare.
Dovevo cercare in qualche modo di far vedere il film, una volta finito: tutto è iniziato per un'urgenza mia, perché le storie a capitoli vengono viste come una cosa non cinematografica ma io volevo presentarmi al mondo così.
Visto che le varie produzioni a cui lo mostravo magari mi facevano anche i complimenti ma non lo capivano, ho sentito che l'unica possibilità che mi restava era Moretti, la sua fama di vedere e leggere tutto ciò che gli veniva proposto mi dava speranza.
Avrei potuto trovare un intermediario per riuscire a parlarci, ma sentivo che non era il modo giusto per presentarmi, mandare una mail nemmeno e allora ho fatto una cosa antica e resistente, la lettera cartacea, che sta svanendo ma poi se ci pensiamo è l'unica "cosa" che resta.
Mi sono detto: sarò l'unico che gli scrive di suo pugno, forse, e allora gli ho portato una lettera con la mia idea di cinema e una penna Usb che conteneva il film.
Quando mi ha chiamato per dirmi della selezione non ci credevo, Nanni mi ha mostrato a un pubblico di 500 persone e dopo 6 lunghi anni di resistenza, con molti bassi e con pochi alti, è stato fantastico.
Anche perché ha voluto sottolineare la "grazia" della struttura a capitoli: è stato un bel riscatto per me dopo tanta fatica.
Cosa lega i tre episodi di "Quanno Chiove", uniti anche dall'inserimento di filmati privati che punteggiano il racconto, con valenze e significati diversi a seconda dell'età dei personaggi?
Questo film per me è tutto sulla scelta, che porta inevitabilmente a conseguenze e lasciti. Le relazioni cambiano, mutano e alcune vengono chiuse.
E' il racconto di quello che poteva essere e non è stato, mi sono rifatto molto anche alla filosofia giapponese, al concetto "Mono no aware" di caducità della bellezza.
Tutto muore, tutto finisce, ma la malinconia per una fine che arriva è anche bella, pensa alla caduta dei fiori di ciliegio: è la fine della loro vita ma è anche uno spettacolo incredibile, magico.
Ho cercato di indagare il senso artistico della malinconia in età diverse della vita, partendo dall'episodio centrale, "Appocundria", che è nato come mediometraggio di diploma di una precedente accademia in cui ho studiato. Ho capito subito però che volevo approfondire il discorso con altri due capitoli, uno precedente sull'origine di questa sorta di "saudade" e uno finale sull'accettazione che permette a questo senso di vuoto esistenziale di diventare leggerezza.
Sono tre storie diverse ma legate, è un'unica emozione in fondo e anche se sono attori diversi li percepisco come se fossero personaggi unici.
Citi spesso le filosofie orientali, come le hai scoperte?
Tutto è cominciato quasi casualmente con la visione di "Viaggio a Tokyo" di Ozu: è stato come se mi si sbloccasse qualcosa, ho proprio sentito qualcosa dentro di me cambiare. Ho visto quindi tutto l'Ozu possibile, e poi tutto ciò che ha fatto un suo "figlio" artistico come Kore-eda Hirokazu, ma ho anche scoperto Naruse Mikio, coetaneo di Ozu.
Come affrontano la dilatazone del tempo, come raccontano i rapporti familiari mi affascina molto.
Ma ho influenze anche più occidentali, come ad esempio Linklater, Antonioni, Kieslowski...
E ora, dopo l'incontro con Moretti e i riscontri internazionali di "Sciaraballa", dove sta andando la tua ricerca?
Devo dire che tra Bimbi Belli e Clermont qualcosa si è mosso.
La mia indagine continua: viviamo in un'epoca in cui abbiamo la presunzione di primeggiare sempre e comunque, vedo la rabbia e l'ansia che c'è nel giorno d'oggi, il senso di fallimento che opprime tutti già a 15-16 anni. Sono in produzione con il mio nuovo film, che racconta questo periodo storico in cui lo sbaglio non è più accettato, si parla solo di chi vince e mai di chi perde...
Per questo il titolo sarà "Tempo al tempo", un riferimento cronologico ma anche meteorologico, il tema del clima è attualissimo e pesa molto su questa sensazione di sbandamento delle generazioni più giovani.
07/07/2023, 13:00
Carlo Griseri