Note di regia di "Pentaclub"
L’autore parla di ciò che conosce: colloca i giovani protagonisti negli anni ’60, affida loro un’impresa da compiere e li fa agire mossi dal bisogno di appartenenza.
Il sogno dei ragazzi è grande: gestire un cinema in cui non si proiettino film a favore della guerra.
Gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del sogno generano conflitti tra protagonisti e ne fanno emergere i difetti: tutti antepongono il proprio sé agli altri.
Con l’impegno e la progressiva disponibilità a stabilire relazioni umane, i protagonisti trovano un equilibrio tra il proprio individualismo e il rapporto con gli altri: diventano gruppo, diventano il Pentaclub e capiscono di essere diventati amici fidati, indispensabili l’uno per l’altro.
Il sogno è la posta in gioco consapevole, mentre l’unità del gruppo si rivela essere la posta in gioco inconsapevole.
Il vissuto personale dell’autore, trasferito nella storia, contribuisce a rendere unica e autentica l’esperienza dei protagonisti.
Le azioni mostrate nel film, così lontane nel tempo, diventano il mezzo per parlare di valori universali senza tempo.
Pentaclub è un film di amicizia, in scena e dietro le quinte. Un gruppo di amici che si è formato negli anni 60 è stato infatti determinante per la produzione del film: il regista e sua moglie hanno scritto la sceneggiatura, i loro amici hanno allestito le scenografie e disegnato i costumi.
Per raccontare in modo visuale l’arco di trasformazione dei protagonisti, all’inizio la regia privilegia l’uso di campi e piani che sottolineino le azioni individuali dei personaggi (master & coverage); quando il gruppo diventa più consapevole di sé, la regia adotta progressivamente il suo punto di vista, con inquadrature più lunghe in cui mdp e gruppo si muovono con sempre maggiore armonia.