Note di regia di "Ambin - La Roccia e la Piuma"
La camera vola e ronza, con l’occhio sulle montagne… Ciò che vediamo (o crediamo di vedere), che si specchia nell’obiettivo lassù e si riflette nei nostri occhi, è il Massiccio d’Ambin: un acrocoro, un deserto d’alta quota sul confine fra l’Italia e la Francia che l’aridità del mutare del clima colora nei toni dell’ocra. Quindici cime oltre i tremila metri. E laghi e roccia e ghiacciai…
Crepacci come tagli che l’artista dei tempi caldi ha affondato (e disegnato) nel poco ghiaccio che resiste al cambiamento climatico. Ma è davvero l’Ambin? O la sua apparenza? Ciò che la montagna mostra di se all’obiettivo é il vero, il vasto Ambin? o il vero Ambin è altro e altro ancora. E’ immagine che muta nelle stagioni, nelle ere geologiche, nei tempi dell’uomo?
A esplorarlo, l’Ambin si rivela coscienza del nostro presente. Immagine riflessa nelle memorie del nostro passato. Si rivela ostacolo, montagna di inciampo e transito ai cammini dell’uomo: barriera e snodo. Luogo ostile e di ostilità, di fortezze e cannoni puntati, ma anche di pacifici sport, di esplorazioni di ghiacci e vette, e di boschi e di vacche, latte e formaggi. Nella sua memoria di sasso e di ghiaccio, nella sua vastità, l’Ambin, arso di questi nostri tempi di mutazione climatica, conserva l’immagine di eserciti e condottieri a cavallo, persino di elefanti, e passaggi di santi, di artisti, di papi… e giornate di sole, di vento, di neve, di tormente e valanghe, di antichissimi mari, e di pellegrini in viaggio… di colori bruciati, di sole, di acqua, di secchezza, di contrabbandieri, di cacciatori, fuggitivi e migranti… di animali sopravvissuti nella leggenda e nel ricordo. Persino di incontro (e scontro) di lingue: d’oc, francoprovenzale, italiano, francese…
piemontese. Montagna vasta, l’Ambin: di confini aperti, di confini chiusi… perché l’Ambin è, non è… perché l’Ambin è… la montagna delle complessità.
Fredo Valla