Note di regia di "A Muzzarell"
L’opera cerca di amplificare la realtà del dramma cinematografico con un occhio al neorealismo, che emerge anche dalla scelta di affiancare ai protagonisti e alcuni attori di spicco, attori in massima parte non professionisti, individuati nel loro contesto quotidiano e dalla fotografia impietosa della condizione di emarginazione e di disagio sociale delle aree a nord di Napoli, nel casertano, soprattutto di Castel Volturno e dintorni, per poi descrivere i Campi Flegrei, come la terra di salvezza e di redenzione di un viaggio ideale.
Discorso centrale: la condizione di forte rischio e di potenziale devastazione che vivono i nostri adolescenti, soprattutto quelli che oggi si affacciano alla vita, cresciuti nella frenesia della mobilità di genitori sempre in corsa – assenti, spesso divorziati, disperati, che hanno smarrito la rotta della genitorialità – nella più assoluta incomprensione nel mondo che non ha più regole e valori, un mondo digitalizzato e “socialized”. Le seduzioni, le dipendenze e i guasti psicologici che trasformano la vita di questi ragazzini in un inferno: delineando una società di bulli in competizione per la griffe, il cellulare, la curva da stadio, l’anoressia da app che filtra forme e liscia pelle creando cloni perfetti, un mondo impossibile ma concretamente virtuale, che si sostituisce al mondo reale fatto di affetti e relazioni umane.
La descrizione dei luoghi e delle situazioni più tipicamente criminose è compressa in poche scene fondamentali alla narrazione, piuttosto è la possibilità di redenzione e salvezza che spinge a raccontarne la storia.
Nel viaggio che Daniele intraprende con la sua crush Martina, a sua volta vittima di una latente anoressia e social network addicted, colleziona incontri che passano dall’aggressione fisica alla perversione, dalla seduzione delle droghe al rischio del sesso violento, dello stupro, ma allo stesso tempo incontrerà personaggi positivi e particolari che gli apriranno la riflessione sui valori più importanti dell’esistenza.
Il culmine della narrazione è nella presenza ricorrente della nonna che si presenta a lui in età e aspetti della sua vita trascorsa: un passato da ragazzina che risale agli anni 40 del post- guerra, i ‘50 di una Pozzuoli ancora verace (ambientata nel borgo fantasma del Rione Terra), i tardi ‘60 della rivoluzione e liberazione sessuale dei moti giovanili sessantottini.
Con difficoltà il ragazzo riconoscerà in questi incontri la nonna e comprenderà che in realtà lei non lo aspetta più, e che le sue manifestazioni rappresentano l’assunzione di responsabilità che aveva avuto in vita verso il nipote, il loro legame di profonda complicità che continua anche dopo la morte.
Così una sorta diritorno è possibile se spinto dall’amore: un legame esiste anche dopo la morte, i cari sono sempre lì a salvaguardia di quelli che restano.
Daniele scoprirà in una sorta di surreale riunione familiare il corpo della nonna alle spalle di commensali che brindano in armonia, emersi da un ricordo di un’infanzia felice e presto finita con la separazione dei genitori. Solo in quel momento si risveglierà dal viaggio brutale vissuto con la sua prima dose di crack sommando l’esperienza “onirica” alla consapevolezza che è arrivata l’ora di scegliere se vivere una vita vera o morire al mondo che lo sta uccidendo.
L’innesto di brani d’autore, una colonna sonora che ha lo scopo di narrare e sostenere lo sviluppo del racconto si pone come elemento essenziale alla pari di una fotografia ricercata e di grande qualità cinematica, con l’utilizzo di immagini anamorfiche, di colori e contrasti intensi, luci diegetiche contrapposte alla luce ambientale dei mesi caldi e movimenti di macchina che spaziano dall’ansiolitico al carrello classico, che accompagna la camminata della giovane coppia nel suo viaggio attraverso l’area flegrea,restituiscono immagini potenti e di grande seduzione fino a porsi come quadri di una realtà assurda ma carica di bellezza pur se presa nella sua piena drammaticità.
Diego Santangelo