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CINECITTA'. LA FABBRICA DEI SOGNI - Il 19
giugno in seconda serata su Rai Storia


CINECITTA'. LA FABBRICA DEI SOGNI - Il 19 giugno in seconda serata su Rai Storia
La American way of life in sella a una Vespa. La dolce vita dal sapore amaro. Chissà che cosa avrebbe pensato Benito Mussolini vedendo la sua Città del Cinema, costruita in tempi record alla periferia di Roma per “diffondere nel mondo la luce della civiltà di Roma”, trasformarsi nella Hollywood sul Tevere, riflesso di una società italiana lanciata verso la modernità dall’impulso a stelle e strisce. Avrebbe diffuso l’italianità nel mondo soltanto una volta liberata dall’ideologia, Cinecittà, al centro del doc “Cinecittà. La fabbrica dei sogni”, in onda mercoledì 19 giugno 2024 alle 22.50 su Rai Storia.

Benito Mussolini capisce presto che “la cinematografia è l’arma più forte” e, anche grazie al figlio Vittorio, appassionato di cinema, sceneggiatore e produttore, investe in un grande progetto ispirato agli studios di Hollywood. Il film propagandistico “Scipione l’africano”, del 1937 è un fiasco inaugurale. Saranno le pellicole d’evasione in salsa americana a lanciare il progetto, con il “cinema dei telefoni bianchi”, rappresentazione di una borghesia ideale. Nonostante censure e tabù, Cinecittà non è solo propaganda, ma anche eccellenza artistica, consacrata dalla fondazione del Centro sperimentale di cinematografia nel 1940. Durante la guerra, la piccola Hollywood fascista lavora a pieno regime. Con l’arrivo degli Alleati, verrà in parte bombardata. La speranza della sua rinascita riparte fuori dagli studi, con il Neorealismo. “Ossessione” di Luchino Visconti svela al mondo il vero volto dell’Italia. E sempre il cinema, dopo la liberazione, restituirà al Paese la sua redenzione. La sola corsa disperata di Anna Magnani verso l’amato in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, basterà a far passare l’Italia da carnefice a vittima della guerra.

Intanto Cinecittà è un campo profughi e, dopo l’embargo fascista, i film americani invadono la penisola. Un giovanissimo Giulio Andreotti impone che i profitti realizzati in Italia da film americani vengano reinvestiti sul territorio. Così Hollywood si trasferisce nella Città Eterna, dove la manodopera costa meno ed è brava almeno quanto quella americana. Ironia della sorte, gli studios che negli intenti di Mussolini avrebbero dovuto superare Hollywood, si mettono al suo servizio. Il peplum americano “Quo vadis” del 1950 dà lavoro a metà Roma. Nasceranno nuovi filoni, come il neorealismo rosa, che affronta la realtà con autoderisione, diventando specchio dell’italianità. Via Veneto sarà l’epicentro della vita mondana e cosmopolita dei divi di Hollywood. Un fenomeno rinominato da Federico Fellini “La Dolce Vita”, che lo riproduce in studio cristallizzando un mito e scandalizzando ugualmente comunisti e democristiani. Ormai però, la cinematografia italiana è slegata dalla propaganda e pronta a diventare un’eccellenza seconda solo a Hollywood.

18/06/2024, 09:48