TORINO FILM FESTIVAL 42 - N-EGO di Eleonora Danco
«
Fare un film per me vuol dire scoprire, ancor prima di raccontare, qualcosa di nuovo ed inaspettato su di me e sull'ambiente e le persone con cui entro in contatto», affermò la compianta Valentina Pedicini.
Non si crede molto distante l'esperienza di
Eleonora Danco, già autrice dieci anni fa del sorprendente
N-Capace, candidato al David di Donatello, al Nastro d'argento e al Globo d'oro per la migliore opera prima.
N-Ego, il suo secondo lungometraggio, è come il precedente costruito tutto sull'assunto che negli altri è necessario rispecchiarsi. Se nell'esordio l'autrice lasciava la parola alternativamente ad adolescenti e anziani per elaborare la perdita della madre e ricomporre il rapporto con il padre, qui anche quest'ultimo è assente e si deve finalmente fare i conti con la vita adulta.
Danco veste i panni di una regista la cui espressività è nascosta da una calza che le copre il volto. Munita anche di impermeabile rosso e una risma di fogli su cui scrivere il nuovo film, la protagonista vaga per le strade di una Roma a lei famigliare eppure estranea, caotica e sospesa, intervistando persone con le quali intavola conversazioni su temi che riguardano tutti, dal lavoro alla sessualità, mettendo in luce sì la diversità degli individui ma anche il comune e diffuso disagio dello stare al mondo. Più presente che in
N-Capace, in
N-Ego la dimensione onirica e simbolica si affida a giovani figure misteriose che accompagnano e a volte interagiscono con gli interpellati completandone la presentificazione.
«
Mi faccio schifo, sempre, anche questa mattina» oppure «
Mi sento ancora inesperta, non si impara mai» oppure ancora «
È un attimo che diventi nostalgico, fragile», sono solo alcuni dei passaggi del monologo alla base di questo piccolo grande film dalle ambizioni quasi psicanalitiche.
Saltano all'occhio i ritorni di almeno due persone già incontrate nel film del 2014: una ragazza di periferia che aveva mollato la scuola, sognava di fare la parrucchiera e ora è sposata con tre figli, e un ragazzo che all'epoca ammise di non conoscere la sua strada e che ora millanta una grande esperienza nelle relazioni amorose e sicurezza di sé.
Ogni incontro diventa l'occasione per fermare l'erranza e chiedere e chiedersi a che punto siamo arrivati, cosa ci stiamo lasciando alle spalle, cosa ci portiamo addosso e da dove stiamo ripartendo. Ogni lavoro di Eleonora Danco è un nuovo capitolo di un percorso personale e collettivo di ricerca. Gustose le apparizioni amichevoli di
Filippo Timi nella parte di un se stesso autoironico ma per nulla falso nell'evidenziare le difficoltà dell'essere creativi in un mondo lavorativo performante, ed
Elio Germano nel ruolo di un macchiettistico tassista che accetta di farsi guidare dalla regista.
Alla fine la missione di scrittura della protagonista non sembra riuscire ma forse qualcosa noi spettatori raccogliamo: la consapevolezza di non dover lasciare che il Super-io, quel (freudiano) insieme ipotetico di comandi e divieti della realtà cosciente, ci faccia a pezzi con i sensi di colpa e la vergogna. E che non è vero che «
si deve sempre sapere come bisogna vivere». Bisogna solo vivere.
28/11/2024, 19:00
Alessandro Amato