TORINO FILM FESTIVAL 42 - IL MESTIERE DI VIVERE di Giovanna Gagliardo
L’obiettivo che la regista
Giovanna Gagliardo si è prefissata per il suo nuovo film è ambizioso: delineare la complessa personalità artistica di
Cesare Pavese.
Si intitola non a caso
Il mestiere di vivere, questo interessante documentario presentato al Torino Film Festival 2024, con un chiaro riferimento all’omonima raccolta di appunti che lo scrittore piemontese annotò negli anni 1935-1950 in forma diaristica per fissare pensieri e sensazioni, ma con in più una sottolineatura della pluralità artistica e della molteplicità di attività che egli praticò per tutta la vita al fine di comprendere e trasmettere ai suoi lettori il senso dell’esistenza.
Possiamo sostenere che il lungometraggio di Gagliardo – l’affermata documentarista di
Bellissime (2004) e
Good Morning Tel Aviv (2023) – riesce a tenere al centro del racconto esattamente questo rapporto privilegiato e diretto dello scrittore con i suoi lettori, riadattandolo in chiave cinematografica ovvero trasferendolo sugli spettatori tramite vari escamotage.
Si dà voce alle sue lettere mentre le immagini illustrano – in finte soggettive – gli spazi e le azioni descritte dalle parole, coadiuvate da suoni e rumori che rendono presenti e attuali le riflessioni dello scrittore; si mettono in scena situazioni descritte nei brani scelti con ricostruzioni in costume di certe atmosfere d’epoca (piuttosto prolisse, per la verità); si rivisitano i luoghi oggetto di narrazione o quelli dove i racconti sono stati composti, creando un interessante scarto ontologico tra presenza ed assenza del protagonista; si ascoltano, infine, testimonianze di intellettuali (ad esempio Fernanda Pivano) e interviste a parenti, amici e colleghi di Pavese, mentre scorre davanti ai nostri occhi una grande varietà di materiali d’archivio, video e fotografici, ben organizzata in un gradevole impianto grafico.
Costituisce indubbiamente un ulteriore elemento positivo l’accurata selezione dei materiali e dei testi proposti, riconducibili – è vero – alle opere più famose dello scrittore (
La luna e i falò, Dialoghi con Leucò, La casa in collina…), ma significativi per offrire una panoramica abbastanza articolata sulla sua produzione artistica.
Gagliardo scandaglia la vita professionale di Pavese ripercorrendone l’esistenza in capitoli che indagano singoli ma correlati aspetti della sua attività, in modo da offrire la visione globale di un uomo che oltre ad essere scrittore era anche poeta, editore e traduttore. L’ipotesi sottesa al documentario è che questa varietà di interessi fosse praticata da Pavese forse per compensare con l’attività letteraria una certa difficoltà a comunicare verbalmente (vengono ricordati i suoi lunghi, frequenti, “pensosi e riflessivi silenzi”) o forse per liberare quel profondissimo tormento spirituale che lo ha attanagliato per gran parte della sua vita.
Gli aneddoti, i ricordi e le riflessioni degli intervistati (come lo sceneggiatore Tullio Pinelli, il direttore della “Fondazione Cesare Pavese” Pierluigi Vaccaneo, il grafico della casa editrice Einaudi Ettore Lazzarotto) sono molto interessanti e puntuali, riuscendo a far emergere l’importanza della figura di Pavese nel contesto dell’editoria e della narrativa del nostro Paese.
Non manca neppure un’incursione nel mondo del cinema, con inserti da tre film a cui il nome di Pavese è legato per diverse ragioni: Riso Amaro di Giuseppe De Santis, La città dolente di Mario Bonnard e Le Amiche di Michelangelo Antonioni. Se dunque – come afferma la scrittrice e traduttrice Claudia Durastanti – le persone “capaci di dischiudere il mistero della vita intima di Pavese” sono i suoi lettori, la speranza è che Il mestiere di vivere rinnovi l’interesse verso il grande scrittore, perché incuriosisce e invoglia ad approfondirne la figura.
24/11/2024, 16:00
Alessandro Guatti